Libertà economica 2025: l’Italia migliora, ma la strada è ancora lunga

Mentre Irlanda, Svizzera e Lussemburgo continuano a dominare la classifica della libertà economica, l’Italia fatica ancora a scrollarsi di dosso le sue zavorre. Anche nel 2025 siamo lontani dai primi posti e, sebbene ci sia stato un lieve miglioramento, il sistema resta soffocato da tasse e burocrazia. Possiamo davvero accontentarci di qualche piccolo passo avanti, mentre il resto del mondo corre? L’Italia si piazza all’81° posto nel mondo, con un punteggio di 60,9 su 100. Un lieve miglioramento rispetto all’anno scorso (+0,8 punti), ma che non cambia la sostanza. Restiamo 39esimi su 44 Paesi in Europa, ben al di sotto della media regionale. Un risultato che ci classifica ancora come un Paese “moderatamente libero”, ma che evidenzia problemi strutturali irrisolti. Per fare un confronto, la Svizzera, che guida la classifica europea, ha un punteggio di circa 83 su 100. Noi siamo fermi a 60,9. Un divario abissale che riflette un sistema economico ancora troppo vincolato dallo Stato. Se da un lato si intravedono segnali positivi, dall’altro le solite zavorre – tasse elevate, burocrazia paralizzante, spesa pubblica eccessiva e riforme incomplete – continuano a frenare la crescita e la competitività dell’Italia.

Diamo a Cesare quel che è di Cesare: il Governo Meloni ha avviato alcune riforme per snellire la burocrazia e digitalizzare la Pubblica amministrazione, con qualche effetto positivo sulla velocità dei servizi e sulla gestione d’impresa. Anche sul fronte fiscale si sono visti alcuni incentivi per aziende e lavoratori autonomi, oltre a una riduzione dell’Irpef per alcune fasce di reddito. Tuttavia, questi interventi restano timidi e senza una riforma strutturale il sistema fiscale italiano continua a essere tra i più pesanti d’Europa. Un altro punto di forza è la tutela della proprietà privata, che rimane solida e rappresenta un elemento di stabilità per chi investe. Il problema, però, è la lentezza della giustizia civile, che rende difficile far valere questi diritti in tempi accettabili.

E mentre la parte positiva si esaurisce rapidamente, i nodi strutturali continuano a soffocare la libertà economica del Paese. Uno dei principali freni alla libertà economica in Italia è la spesa pubblica fuori controllo. Non si tratta solo di come vengono usati i soldi pubblici – spesso male, con sprechi e inefficienze – ma anche di quanto lo Stato preleva e spende, comprimendo la libertà economica e riducendo lo spazio per la crescita del settore privato. Nel 2025, la spesa pubblica italiana supera il 50 per cento del Pil, ben al di sopra di Paesi come l’Irlanda, che mantiene livelli di spesa più contenuti ma con servizi più efficienti. Questo significa che più della metà della ricchezza prodotta in Italia viene assorbita dallo Stato. Il problema è che questi soldi vengono gestiti con poca efficienza e trasparenza. Le voci di spesa che pesano maggiormente sul bilancio pubblico restano pensioni e assistenza sociale, un sistema che fatica a reggere e che grava pesantemente sulle casse dello Stato, e stipendi pubblici, che alimentano una Pubblica amministrazione ancora troppo pesante e poco produttiva. A questi si aggiungono gli interventi a pioggia e i bonus distribuiti senza una vera strategia di crescita economica. A rendere il quadro ancora più critico è la presenza di sprechi evidenti, tra enti inutili, burocrazia ridondante, opere pubbliche incompiute e una gestione inefficiente dei fondi pubblici. Il risultato è un sistema che toglie più di quanto restituisce ai cittadini e alle imprese. A fronte di questa spesa esorbitante, le tasse restano elevate e continuano a essere un freno per la crescita.

L’elevata pressione fiscale scoraggia investimenti e impresa, mentre il costo del lavoro rimane troppo alto. La soluzione non può essere solo migliorare la qualità della spesa pubblica, ma serve ridurne la quantità. Meno Stato, più libertà. Guardando ai nostri vicini, il divario diventa ancora più evidente. L’Italia è 39ª su 44 Paesi europei, superando solo Grecia, Ucraina e pochi altri. Le economie più libere, come i Paesi Bassi, dimostrano che meno tasse, meno burocrazia e più flessibilità portano a crescita e benessere diffuso. L’Italia, invece, continua a rimanere indietro, prigioniera di un modello statalista che rallenta la crescita e allontana investitori e talenti. Il Governo Meloni ha portato il tema della libertà economica al centro del dibattito, ma le riforme attuate finora sono state parziali. Se vogliamo davvero rilanciare il Paese, servono misure più coraggiose: meno tasse, meno burocrazia, meno spesa pubblica, più flessibilità per le imprese e il lavoro e, soprattutto, una revisione del perimetro di azione dello Stato.

L’Italia ha tutte le carte in regola per essere un gigante economico. Ma finché la politica non avrà il coraggio di ridurre davvero tasse e spesa pubblica, continueremo a rimanere un Paese a metà, bloccato tra il suo potenziale e la sua realtà. La libertà economica non è un lusso, è una necessità per la crescita. Noi cosa stiamo aspettando? L’economia non migliorerà da sola. Serve un cambio di rotta deciso, perché le mezze misure non bastano più. Le scelte sono due: o continuiamo a galleggiare in un sistema che ci soffoca, o prendiamo sul serio la necessità di più libertà economica. Non è solo una questione di numeri, ma di futuro. Un Paese con meno tasse, meno burocrazia e meno spesa pubblica è un Paese che può crescere e dare opportunità a tutti. Ora la domanda è: vogliamo davvero cambiare, o resteremo a guardare mentre gli altri vanno avanti?

Aggiornato il 26 marzo 2025 alle ore 11:36