
A proposito di una legge paternalista del Governo francese che affossa il mercato in nome della protezione
C’è qualcosa di profondamente inquietante nella tendenza, oggi sempre più diffusa, dei Governi occidentali a regolare ogni aspetto della vita economica, fino ai più piccoli dettagli delle transazioni quotidiane. L’ultimo esempio lampante arriva dalla Francia, dove il governo ha deciso di fissare per legge un tetto massimo del 34 per cento agli sconti sui prodotti alimentari praticabili nei supermercati. Il divieto include anche formule tipo “due prodotti al prezzo di uno”. Il provvedimento, formalizzato con l’Arrêté du 15 mars 2025, è stato pubblicato sul Journal Officiel il 17 marzo ed è in vigore almeno fino al 15 aprile, salvo proroghe.
Secondo la narrativa ufficiale, questa misura servirebbe a proteggere gli agricoltori e i piccoli produttori da una “guerra dei prezzi” generata dai colossi della grande distribuzione. Ebbene, ciò che a prima vista può sembrare un atto di salvaguardia verso i più deboli si rivela, a uno sguardo più attento, una forma pericolosa di interventismo economico che punisce l’efficienza, affossa la concorrenza e danneggia proprio coloro che si dice di voler difendere: i consumatori, e in particolare i più poveri.
In realtà, la cosiddetta “guerra dei prezzi” non è altro che l’effetto della concorrenza tra operatori che cercano di attrarre clienti offrendo il massimo valore al minor prezzo possibile. È la dinamica naturale di un mercato in cui il potere di scelta risiede nel consumatore. Trasformarla in una minaccia da cui difendersi equivale a rovesciare il principio stesso dell’economia di mercato. Impedire sconti oltre una certa soglia significa condannare i produttori più efficienti, che sarebbero in grado di offrire di più a meno, mentre si proteggono aziende meno competitive. È il trionfo dell’egualitarismo dei prezzi sulla meritocrazia dell’impresa, una forma larvata di protezionismo interno che premia l’inefficienza e scoraggia l’innovazione. Limitare per legge la possibilità di applicare sconti equivale, dunque, a proibire la concorrenza. In un libero mercato, la dinamica del prezzo è frutto dell’interazione tra domanda e offerta, e le promozioni sono uno degli strumenti con cui le imprese cercano di conquistare clientela, smaltire scorte, favorire l’accesso a beni essenziali. Imponendo un tetto agli sconti, lo Stato non protegge il piccolo agricoltore, ma favorisce artificialmente l’inefficienza, irrigidisce il sistema e rende più difficile l’accesso a beni di prima necessità per i ceti più fragili.
La giustificazione addotta – la tutela dell’agricoltura – è solo una cortina fumogena. Si tratta in definitiva dell’ennesimo tentativo di pianificazione economica centralizzata. Non potendo più fissare direttamente i prezzi, come accadeva nel dirigismo novecentesco, i Governi moderni li condizionano indirettamente, vietando le offerte troppo vantaggiose. È in pratica la tecnocrazia contro il mercato, con la burocrazia che si erge a giudice di ciò che è “giusto” o “eccessivo” nel rapporto tra imprese e cittadini. Ma c’è di più.
Il decreto si inserisce nel quadro normativo della legge EGalim 3 (acronimo di Équilibre des relations commerciales dans le secteur agricole et alimentaire et une alimentation saine et durable), approvata nel 2023 e in vigore in parte dal 2024, che è la terza di una serie di leggi adottate in Francia a partire dal 2018, che hanno imposto altri vincoli contrattuali tra agricoltori, trasformatori e distributori. Il risultato degli interventi è una cartellizzazione legalizzata, dove i prezzi minimi vengono in effetti garantiti per legge, mentre l’innovazione e l’efficienza – le vere forze propulsive del benessere diffuso – vengono ostacolate. Chi cerca di fare meglio, di offrire di più a meno, viene penalizzato. In merito non è inutile sottolineare che Frédéric Bastiat – non a caso francese – aveva colto già nel XIX secolo l’assurdità di tali politiche, esprimendo la famosa frase: “Lo Stato è quella grande finzione attraverso la quale tutti cercano di vivere a spese di tutti gli altri”. Imporre limiti agli sconti per “proteggere” una categoria a scapito di tutte le altre è proprio l’essenza di questa finzione: lo Stato si fa paladino dei deboli creando nuove distorsioni e nuovi privilegi.
Le conseguenze di siffatto provvedimento sono facili da prevedere. I consumatori francesi vedranno un aumento dei prezzi reali, perché le promozioni sono uno dei pochi strumenti rimasti alla distribuzione per contrastare l’inflazione e stimolare le vendite. I piccoli rivenditori – che si voleva tutelare – subiranno comunque la concorrenza dell’e-commerce e delle catene internazionali che possono aggirare la norma. E infine, gli agricoltori stessi non otterranno benefici duraturi: la protezione normativa soffoca la competitività e crea dipendenza dal potere politico, rendendo impossibile lo sviluppo di un’agricoltura innovativa e autonoma.
Nel frattempo, le autorità francesi si arrogano il diritto di decidere quanto sia giusto far risparmiare a una madre di famiglia che compra pasta e verdure. È un salto di qualità nel paternalismo di Stato: non solo si dice al cittadino cosa può comprare, ma anche quale sconto è moralmente accettabile. In tempi in cui l’inflazione erode il potere d’acquisto, il debito pubblico cresce e la pressione fiscale è già altissima, vietare la concorrenza tra supermercati è un atto di cecità economica e arroganza politica. Non è così che si aiuta l’agricoltura, né si difendono i consumatori. Al contrario, l’unico modo per far prosperare entrambi è ridurre le barriere, liberalizzare i mercati, abbattere i vincoli. Lasciare che siano la libertà, l’ingegno e la responsabilità a guidare le scelte economiche.
L’intervento francese è solo l’ultimo segnale di una deriva che non riguarda solo la spesa quotidiana, ma la concezione stessa del ruolo dello Stato e della libertà economica. E come tutte le scorciatoie paternalistiche, finirà per colpire proprio coloro che intendeva proteggere.
Aggiornato il 25 marzo 2025 alle ore 09:49