Taccuino liberale #32

È finalmente primavera e verrebbe voglia di affrontare qualche tema leggero, ma la nostra attenzione si pone ancora su una questione che ci impone qualche riflessione liberale, per fare ordine nel chiacchiericcio mainstream.

Mentre tutti si dedicano al manifesto di Ventotene (testo che quasi nessuno ha letto, isola che pochi hanno visitato e forse non sanno nemmeno dov’è e perché dà il nome a quel manifesto) si consuma in queste ore un pasticciaccio sempre a discapito delle imprese italiane.

Con legge di bilancio 2024 (art. 1, legge 30 dicembre 20023, n. 213) era stato introdotto l’obbligo per tutte le imprese operanti sul territorio italiano di copertura assicurativa da eventi catastrofali e calamità naturali. Tale obbligo, tuttavia, attendeva l’emanazione di regolamento attuativo, adottato con decreto ministeriale n. 18 pubblicato il 30 gennaio 2025, con entrata in vigore il 14 marzo 2025. In tale regolamento è stato confermato l’obbligo di assicurazione entro il termine del 31 marzo 2025. In soli 17 (diconsi diciassette) giorni le compagnie assicurative hanno dovuto procedere alla formulazione definitiva  dei testi di polizze conformi al regolamento e tramite i propri sistemi di distribuzione offrire i prodotti ai soggetti a cui è attribuito l’obbligo assicurativo (e guarda caso non c’è alcuna pubblicità di certi portali che per soli due spiccioli offrono polizze, perché questo è tema assicurativo complesso e non soggetto a semplicistiche e facili pubblicità da rifilare alla massa; nessun papà che impreca per la polizza aumentata e bimba che esorta comunque al pagamento) e in sempre soli 17 giorni tutte le imprese, anche quelle individuali, con la sola esclusione di quelle agricole, dovrebbero procedere a sottoscrivere le polizze, per mettersi in regola con l’obbligo di legge.

L’intento della legge potrebbe ritenersi meritorio (anche se sorgono molte perplessità circa l’obbligo anche per i manufatti non in regola che però poi non vengono indennizzati, o per l’assunzione del rischio da parte del locatario dell’immobile in cui si svolge l’attività d’impresa, in caso non provveda il proprietario, ma con indennizzo a favore di quest’ultimo in caso di evento catastrofale), in quanto  lo Stato italiano, come altri Paesi, ha spostato sul mercato la responsabilità della copertura assicurativa dei danni derivanti dalle calamità naturali e catastrofi, adottando, per il primo periodo di applicazione anche la sottostante copertura della Sace.

Tuttavia, non ha ridotto della medesima porzione le tasse per le imprese, che si trovano ad assumersi un ulteriore impegno economico, a fronte della medesima imposizione fiscale, e quindi è posto l’ennesimo incombente sulle aziende già gravate da una imposizione fiscale opprimente. In secondo luogo, perché solo le imprese e non anche i privati? E ancora, perché non cogliere l’occasione per introdurre un sistema mutualistico come previsto in altri Paesi ma demandare tutto al sistema assicurativo che rischia di implodere in caso di molteplici ricorrenti eventi calamitosi? Le aziende assicurative sono imprese, lavorano per guadagnare, non per assumere rischi che ne assicurino il fallimento, per mancanza di tenuta del sistema di assunzione e gestione adeguate del rischio.

Inoltre, dovendo pagare tutte le aziende distribuite sul territorio nazionale un premio, per pagare poi i danni in particolar modo alle imprese presenti in tessuti geografici particolarmente soggetti a tali eventi − magari anche per incuria manutentiva pubblica locale, per autorizzazioni a costruire rilasciate sulla base di istruttorie poco accorte circa la zona di ubicazione delle imprese, o non tenendo conto delle recenti rideterminazioni dei piani di sicurezza che hanno prodotto un nuovo censimento (più restrittivo) delle zone di rischio − di fatto le aziende ubicate in aree a basso rischio corrono i pericolo di pagare non per il rischio effettivo che corrono di subire danni, ma per sostenere un sistema che è stato improvvisamente spostato dall’egida pubblica a quella privata, senza che il settore coinvolto fosse culturalmente pronto per sostenere questa transizione. Non basta purtroppo una legge, ed un regolamento emanato a pochi giorni dall’introduzione dell’obbligo senza condurre ad esempio una significativa campagna di educazione e promozione della necessità di assumersi la propria responsabilità assicurativa e di indennizzo.

Auspichiamo quindi che ora tutti facciano la loro parte, quindi che le compagnie siano in grado di offrire prodotti che contemperino da una parte la valutazione del rischio specifico davvero corso dalle imprese con la necessità di dover garantire a tutti la indennizzabilità dei danni, per evitare che chi è meno a rischio paghi, in proporzione, di più di chi ha un rischio notevolmente superiore, e che le amministrazioni pubbliche, che non più tardi di qualche giorno fa, in Emilia Romagna ed in Toscana (guarda caso a conduzione centrosinistra da decenni), hanno dato dimostrazione della situazione che certi fiumi hanno, in quanto le piene registrate sono state, anche questa volta, peggiorate dalla presenza di detriti, alberi e altro che ostruendo i ponti hanno aggravato la situazione, oppure che procedano speditamente a realizzare le vasche di laminazione e tutte quelle opere che sono necessarie per evitare che fenomeni naturali diventino sempre più onerosi, e diventino l’ennesima causa di fuga delle imprese dal tessuto economico del Paese.

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Aggiornato il 21 marzo 2025 alle ore 12:00