
Le scorciatoie raramente sono utili in campo tributario e spesso non fanno che ingigantire il problema.
Dopo sette rinvii consecutivi, quest’anno la sugar tax potrebbe arrivare davvero: gli emendamenti al Milleproroghe volti a farla slittare per l’ennesima volta sono stati respinti. Per ora il Governo sembra prendere tempo e promette una soluzione entro il 1 luglio - quando dovrebbe scattare il nuovo tributo - ma, intanto, per ora bisogna fare i conti con la sua entrata in vigore. In assenza di interventi, a partire dall’estate dovrà essere applicata un’imposta di 10 euro per ettolitro sui prodotti finiti e 0,25 euro per chilogrammo su quelli destinati alla diluizione, con l’effetto, secondo le imprese del settore, di far lievitare in media del 28 per cento la fiscalità sui beni interessati.
La sugar tax nasce nel 2019, con la legge di bilancio per l’anno successivo, e finora non è mai stata applicata proprio perché è stata rimandata anno dopo anno, senza mai sopprimerla definitivamente. Il paradosso è che nessuno sembra veramente favorevole a questa gabella: persino le forze politiche che l’avevano inizialmente voluta (era l’epoca del secondo governo Conte) hanno successivamente votato per sospenderne l’applicazione. La spiegazione è semplice: la sugar tax risponde a un obiettivo apparentemente condivisibile (incentivare la buona alimentazione) ma in realtà è uno strumento puramente ideologico, inefficace rispetto ai fini dichiarati (anzi probabilmente controproducente), e rischia di mettere in seria difficoltà i produttori, soprattutto quelli che commercializzano prodotti di maggiore qualità e prezzo. Sulle evidenze e i pregiudizi relativi a questi strumenti, l’Istituto Bruno Leoni ha pubblicato anni fa un libro, “Obesità e tasse”: era il 2013, poco è cambiato e nessuno sembra voler apprendere la lezione.
Ma c’è un altro aspetto, altrettanto e forse più importante: se ogni anno si riapre la corrida sulla sugar tax, con la corsa contro il tempo per evitarne l’applicazione, è perché inserire una nuova tassa è facilissimo, mentre toglierne una (anche se assurda e sgradita) è molto complicato. Il bilancio dello Stato contiene una previsione di gettito (600 milioni di euro su base annua) che dunque presuppone una copertura, anche se quel gettito finora è stato puramente virtuale: una copertura significa o una tassa in più o una spesa in meno. E se nel passato, complice il caos legato alla pandemia e la sospensione dei vincoli di bilancio, nessuno badava al deficit, adesso i nodi vengono al pettine e persino una cifra tutto sommato modesta impone all’esecutivo scelte difficili, dovendo necessariamente scontentare qualcuno. Proprio per questo abbiamo spesso invocato l’eliminazione definitiva della tassa, sapendo che le scorciatoie raramente sono utili, in campo tributario, e più spesso non fanno che riproporre il problema, ingigantito, in un secondo momento.
Nessun pasto è gratis e, per colpa dell’irresponsabilità della politica, anche i soft drinks adesso costeranno di più.
Aggiornato il 19 febbraio 2025 alle ore 09:29