Giuseppe Prezzolini sosteneva che “in Italia non c’è nulla di più definitivo del provvisorio”: una pessima abitudine che trova triste applicazione, ad ogni modo, anche oltre i nostri confini nazionali. È il caso della Spagna, dove il Governo di Pedro Sánchez starebbe vagliando una riforma della tassa sugli extraprofitti delle grandi compagnie energetiche, riducendone l’aliquota dell’1,2 per cento ma rendendo permanente un’imposta che, per sua stessa natura, dovrebbe mantenere carattere provvisorio. In tal modo, anziché gravare solo sulle aziende di maggiori dimensioni – quali Repsol, Cepsa, Iberdrola e la controllata di Enel Endesa – la “windfall tax” verrebbe estesa all’intero settore o, in ogni caso, a un numero ben più elevato di imprese. Peraltro, nella sua nuova veste, l’imposta, punto programmatico dell’accordo di coalizione tra i partiti di maggioranza, si applicherebbe sulla percentuale degli utili operativi, e non più sulla percentuale dei ricavi. La mossa del premier spagnolo non stupisce, se si guarda al gettito procurato dalle due “tasse di solidarietà” – una per i gruppi bancari, l’altra per le compagnie energetiche – quantificato in circa 3 miliardi di euro l’anno dal ministro delle Finanze María Jesús Montero. L’intento dichiarato dall’Esecutivo socialista sarebbe quello di “promuovere la giustizia fiscale” e combattere le diseguaglianze nel Paese, colpendo profitti considerati inattesi e, di conseguenza, iniqui. Puntualmente, però, le apparenti nobili intenzioni di un legislatore paternalista e che brandisce il vessillo della redistribuzione vengono sistematicamente smascherate dalle conseguenze non intenzionali che esse stesse producono. Il policy maker, infatti, per quanto si reputi infallibile, è tutt’altro che onnisciente, incapace com’è di prevedere i risvolti inattesi e indesiderati che le proprie politiche produrranno una volta giunte al vaglio della realtà.
Di fatti, dalla levata di scudi dei principali gruppi energetici del Paese, che già nel 2023 presentarono ricorso contro la tassa all’Alta corte nazionale, si apprende che quelli che il Governo Sánchez definisce “profitti inattesi” non sono meramente capitali che finiscono per ingrassare il conto corrente di pochi privilegiati, ma risorse che le aziende investono in ricerca e sviluppo, per la realizzazione – guarda caso – di progetti e stabilimenti per la transizione energetica e le fonti di energia rinnovabili. Cepsa, seconda compagnia energetica spagnola per grandezza, ha reso noto, tramite una dichiarazione a Reuters, che l’introduzione in via permanente della “tassa di solidarietà” produrrebbe, come effetto indesiderato, il differimento a data da destinarsi di investimenti per oltre 3 miliardi di euro nel sud del Paese per la produzione di idrogeno verde e il conseguente mutamento di strategia aziendale, dando “priorità alla sua espansione internazionale con progetti che erano stati inizialmente pianificati per la seconda fase della sua strategia di transizione”. In parole povere, investimenti che lasciano la Spagna per approdare altrove, in ragione di quello che Repsol definisce un “quadro normativo e fiscale instabile e sfavorevole” che “favorisce gli importatori che non generano occupazione o attività economiche di rilievo”, in una nota con cui l’azienda ha reso pubblica l’intenzione di sospendere, qualora la tassa divenisse permanente, lo sviluppo di stabilimenti di idrogeno verde analoghi a quelli della compagnia concorrente e che genererebbero 350 megawatt di elettrolisi.
Siamo, in definitiva, al cospetto di un cortocircuito intellettuale di non poco conto per quelle schiere di ambientalisti convinte che la transizione a tecnologie più pulite e sostenibili passi imprescindibilmente dalla mano pubblica, anziché da soluzioni a cui solo il mercato, attraverso il perseguimento del demonizzato profitto, è in grado di pervenire; un paradosso che Ronald Reagan ha saputo riassumere egregiamente: “Se qualcosa si muove, tassalo; se si muove ancora, regolamentalo; se non si muove più, sussidialo”. È la miopia da cui è afflitto il dirigismo in ogni sua incarnazione, incapace, come insegna Frédéric Bastiat, di scorgere “ciò che si vede e ciò che non si vede” – soprattutto ciò che non si vede, in una spirale recessiva di maggiore pressione fiscale, che alimenta nuova spesa pubblica, che genera ulteriore debito. A proposito di energia, in Spagna il costo del carburante è ancora relativamente contenuto, ma gli italiani sanno bene cosa significa essere ai primi posti tra gli europei costretti a spendere di più per fare rifornimento e, se il prezzo nei decenni è lievitato, lo si deve in buona misura proprio ad accise che avrebbero dovuto essere provvisorie, naturalmente divenute permanenti: le solite note, dalla guerra in Etiopia all’alluvione di Firenze, dal disastro del Vajont alla crisi di Suez.
Aggiornato il 29 ottobre 2024 alle ore 10:10