L’S&P 500, indice che include le principali società americane, ha registrato un aumento del 15 per cento nel 2024, con giganti come Nvidia che ha più che raddoppiato il suo valore e altri come Meta, Alphabet e Amazon in crescita rispettivamente del 40 e del 30 per cento. Questa tendenza positiva non riflette soltanto la solidità del mercato azionario statunitense, ma anche la fiducia nel dollaro. La prima valuta del mondo ha visto una notevole crescita nel 2024, come emerge dall’aumento del 4 per cento dell’Us dollar, un indice che mette in relazione il dollaro con altre sei valute di economie con le quali gli Stati Uniti intrattengono rapporti commerciali importanti (euro, franco svizzero, yen giapponese, dollaro canadese, sterlina britannica e corona svedese). Il rafforzamento del biglietto verde sta avendo conseguenze economiche evidenti sulla cosiddetta economia reale. Ad esempio, lo yen ha toccato un minimo storico rispetto al dollaro, rendendo una vacanza a Tokyo un terzo più economica rispetto a cinque anni fa. Come conseguenza, le compagnie aeree statunitensi stanno incrementando l’offerta di voli diretti col Giappone. Anche le merci importate sono divenute relativamente più economiche, contribuendo a mitigare l’inflazione interna.
Un dollaro eccessivamente forte, d’altra parte, potrebbe preoccupare gli esportatori statunitensi. Altre conseguenze dell’andamento del dollaro si osservano nelle diverse decisioni di investimento degli operatori finanziari. Il Carry trade è un esempio di strategia che consente di sfruttare le differenze nei tassi di interesse tra due valute per generare profitto, tenendo conto anche del rischio associato alle fluttuazioni dei tassi di cambio. Ultimamente, alcune valute dei mercati emergenti sono diventate più volatili e, al contempo, sono aumentati i differenziali di rendimento tra i mercati sviluppati, rendendo meno necessario avventurarsi in economie con minore stabilità. In questo contesto, si è diffuso il Carry trade del G-10, una modalità di investimento che si concentra sulle economie più solide. Questa tendenza è supportata dall’aumento del valore del dollaro e contribuisce ad alimentarlo ulteriormente.
Tra le variabili più influenti nell’influenzare la direzione futura del dollaro rientra la politica monetaria. La Federal Reserve (Fed) ha mantenuto tassi di interesse elevati per combattere l’inflazione, ma si prevede che possa iniziare a tagliarli entro la fine dell’anno, insieme a molte altre banche centrali. Tale sincronismo nella politica monetaria potrebbe mantenere i differenziali di rendimento relativamente stabili. Di questo parere è Jp Morgan, che considera la valutazione del dollaro elevata ma non prevede un cambio di direzione imminente. Un altro fattore determinante è la politica economica degli Stati Uniti. L’aumento delle probabilità di una rielezione di Donald Trump potrebbe comportare un’espansione dei dazi doganali e una riduzione delle tasse, rappresentando un ulteriore fattore di forza per il dollaro. Storicamente, il dollaro tende a rafforzarsi in due scenari distinti. Il primo si verifica durante periodi di recessione globale o incertezza finanziaria che invitano gli investitori a cercare rifugi sicuri come i titoli di Stato statunitensi. Il secondo si manifesta in concomitanza con una forte crescita economica degli Stati Uniti, spesso accompagnata da un aumento dei tassi di interesse. Al contrario, il dollaro tende a indebolirsi quando l’economia statunitense consegue risultati peggiori rispetto al resto del mondo. La situazione attuale non riflette perfettamente uno scenario di forte crescita, ma le proiezioni sull’economia americana rimangono positive.
Aggiornato il 05 luglio 2024 alle ore 11:36