Prudenza e coraggio per risanare i conti pubblici

La Commissione europea ha avviato la procedura per deficit eccessivo nei confronti di Francia, Italia e altri cinque Paesi (Polonia, Belgio, Ungheria, Slovacchia e Malta). Sono quelli che registrano un deficit pubblico superiore al limite del 3 per cento del Pil, per i quali lo sforamento non è stato considerato temporaneo e limitato. In base alle regole di quella che è stata ampollosamente definita “nuova governance europea”, e che non è altro che una revisione del vecchio Patto di stabilità e crescita, i Paesi sottoposti alla procedura d’infrazione saranno tenuti a ridurre il proprio deficit dello 0,5 per cento all’anno (per l’Italia circa 10 miliardi), in un orizzonte di medio periodo. Entro il prossimo settembre dovranno presentare un piano che conduca a questo risultato.

Di per sé nulla di particolarmente drastico, neanche per l’Italia che pure si presenta con un deficit nel 2023 pari a ben il 7,4 per cento del Pil, quasi due volte e mezzo il limite fissato e più che doppio rispetto alla media dei Paesi dell’euro, e con un debito pari al 137,3 per cento del Piluna volta e mezzo la media nell’area dell’euro. La cosa si complica se si considera che il Governo ha annunciato di voler prorogare sgravi disposti nel 2023 (fiscalizzazione oneri sociali, accorpamento di aliquote Irpef) finanziati per un solo anno. Tenendo conto di queste e di altre spese obbligatorie, l’aggiustamento dei conti pubblici richiesto a partire dal prossimo anno assume dimensioni importanti – circa 30 miliardi – sicuramente non facili da realizzare.

Negli ultimi giorni è divenuto evidente – se ce ne fosse stato ancora bisogno – che l’Unione europea stende una sorta di cintura di sicurezza intorno ai Paesi più deboli. Non appena – con l’esito delle elezioni europee – i mercati hanno percepito che quella cintura di sicurezza potesse vacillare, le turbolenze sono state immediate, e i tassi d’interesse che i Paesi deboli pagano sul proprio debito sono immediatamente saliti. Con la novità che i mercati hanno inserito nel novero dei Paesi deboli anche la Francia. Ecco, la cosa che l’Italia non può proprio permettersi è un ulteriore aumento dello spread sui propri titoli. Già oggi le costano lo sproposito di oltre il 4 per cento del Pil. Un ulteriore innalzamento rischierebbe di avviarci in una spirale distruttiva. Fin qui il Governo – che ha ereditato gli effetti catastrofici del superbonus edilizio – si è attenuto a una saggia prudenza nella gestione dei conti pubblici. Questo è il momento non di vacillare, ma di aggiungere alla prudenza un po’ più di coraggio e di ambizione sulla strada del risanamento. Su quella via, se perseguita con la necessaria determinazione, si potrà ricevere il premio di una riduzione del costo del debito, come insegna l’esempio portoghese.

(*) Componente del Comitato d’indirizzo dell’Istituto Bruno Leoni

Aggiornato il 24 giugno 2024 alle ore 10:33