Nuove infrastrutture ferroviarie e stradali, gli indennizzi ai privati

Il fenomeno dell’espropriazione larvata: critica alle Linee guida Tav. Occorre vigilare, altrimenti è “saccheggio legale”

Già a metà dell’Ottocento un pensatore liberale scriveva: “La legge dovrebbe servire solo ad attuare i diritti naturali preesistenti, come la personalità, la libertà e la proprietà”. Il “saccheggio legale” è quando la legge “prende da alcune persone ciò che appartiene a loro, per dare ad altri ciò che non appartiene a loro”. (Frédéric Bastiat, La legge, 1850).

Ma cosa si intende per “espropriazione larvata”, cosa sono le “Linee guida Tav” e perché si rischia il “saccheggio legale”? È un fatto notorio che a breve si aprirà una moltitudine di nuovi cantieri per svariate grandi opere pubbliche che avranno un impatto sociale, ambientale ed economico molto forte sul territorio italiano. Molti proprietari subiranno gli espropri dei propri fabbricati e terreni. Il punto è che poco o nessun risalto viene dato alla tutela del diritto di proprietà e agli indennizzi che spettano ai proprietari degli immobili a uso abitativo e dei terreni che stanno per essere espropriati o anche di quelli che, seppur in assenza di un provvedimento ablativo, subiranno limitazioni di godimento dei loro beni e la perdita di valore economico a causa della vicinanza alle nuove opere pubbliche.

Quest’ultimo fenomeno viene definito espropriazione larvata. Il caso tipico è quello relativo a un’unità abitativa situata al di sotto o di fronte a un viadotto che, in seguito alla realizzazione della nuova opera, subisce una diminuzione di valore per una variazione negativa, in termini percentuali, delle sue caratteristiche intrinseche (diritti o facoltà non marginali) quali: perdita della privacy, della luminosità, della visuale, del soleggiamento, dell’amenità, della sicurezza fisico-piscologica. E, per contro, un aumento dell’inquinamento acustico e atmosferico, della polverosità. La casistica più frequente riguarda la messa in esercizio dei nuovi tracciati ferroviari e stradali. Nel nostro ordinamento giuridico l’espropriazione per pubblica utilità è lo strumento che consente di piegare l’autonomia privata e limitare il diritto di proprietà agli interessi pubblici. La Costituzione, all’articolo 42, prevede che “la proprietà privata può essere, nei casi previsti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale”. Anche nel caso dell’espropriazione larvata esiste una norma che obbliga lo Stato a indennizzare i privati che sono danneggiati in modo permanente dalle nuove opere. Tale norma è l’articolo 44 del decreto del Presidente della Repubblica, numero 327/2001, del Testo unico in materia di espropri e prevede che “è dovuta un’indennità al proprietario del fondo che, dall’esecuzione dell’opera pubblica o di pubblica utilità, sia gravato da una servitù o subisca una permanente diminuzione di valore per la perdita o la ridotta possibilità di esercizio di un diritto di proprietà”.

E ormai pacifico in giurisprudenza che la ratio dell’obbligo di indennizzo ex articolo 44 sopra citato sia stata individuata dalla Suprema corte di Cassazione in un basilare principio pubblicistico di “giustizia distributiva”. Non è accettabile che la soddisfazione dell’interesse generale passi per il sacrificio dell’interesse o del diritto del singolo, senza che quest’ultimo venga proporzionalmente e interamente indennizzato. Il principio, ovviamente, presuppone un atto legittimo della Pubblica amministrazione che, attraverso l’opera pubblica, persegua i fini della collettività ma è ispirato al favor per il privato danneggiato dalla nuova opera pubblica.

Tuttavia, in molte situazioni ciò non avviene. La questione è senz’altro molto più complessa. Per esempio, nel caso di nuove tratte ferroviarie il gestore pubblico della linea ferroviaria nazionale è Rete ferroviaria italiana Spa (di seguito Rfi) che è tenuto a operare impiegando risorse di natura pubblica e a erogare gli indennizzi ai privati in maniera razionale, oculata e uniforme, ispirando tutte le proprie scelte e decisioni al principio di parità di trattamento di tutti i suoi interlocutori. In questo senso, Rfi afferma di applicare le cosiddette Linee guida Tav, che sono un insieme di definizioni, raccomandazioni, regole e criteri comuni, per quantificare le indennità ex articolo 44 del Testo unico in materia di espropri, a fondamento e nel rispetto delle norme di legge e dei principi di uniformità e parità di trattamento. Il problema è che l’articolo 44 del Testo unico non prevede nulla in materia di quantificazione dell’indennità ai privati che, pertanto, spetta alla trattativa diretta tra le parti oppure, in caso di causa civile, a ogni singolo giudice adito.

Nella pratica, l’applicazione delle Linee guida Tav da parte del gestore pubblico o dei suoi mandatari presenta numerose criticità e contraddizioni. Per esempio, Rfi ritiene indennizzabili unicamente i proprietari dei fabbricati cosiddetti “frontisti”, (quelli che si affacciano direttamente sulla nuova opera), escludendo categoricamente e arbitrariamente i proprietari “non frontisti”. Questi ultimi sono quelli che hanno fabbricati o terreni nelle immediate vicinanze dell’opera e da essa sono permanentemente danneggiati a causa della presenza e dall’esercizio della linea ferroviaria, ma comunque sono esclusi dall’indennizzo solo perché “non frontisti”. Inoltre, le Linee guida Tav ritengono che l’indennizzo vada calcolato tenendo conto solo dei metri quadrati dei vani “frontisti” e quelli deputati al riposo e vita quotidiana anziché i metri quadrati totali commerciali dell’intero appartamento. Infine, limitano senza motivazione logico-giuridica o tecnica, e arbitrariamente, la percentuale massima di indennizzo per le singole voci di danno permanente (riduzioni di luminosità e panorama, aumento delle immissioni di rumore e vibrazioni).

In altre parole, la nuova opera ferroviaria che comporta un aumento di numero di decibel di immissioni di rumore superiori alla normale tollerabilità, secondo Rfi, non comporterebbe la privazione per i proprietari dell’utilità quale la silenziosità, diminuendo la godibilità del diritto di proprietà sullo stesso e quindi il suo valore commerciale, semplicemente perché è “non frontista” a prescindere dalla citata norma e dalla giurisprudenza formatasi su di essa. Il diritto di proprietà perde la sua astrazione, che identifica l’insieme delle facoltà, che spettano al proprietario per l’utilizzazione del bene, per diventare un’entità materiale svincolata da ogni logica di diritto, tecnica e di estimo. E divenire, perciò, una pura determinazione individuale dei tecnici incaricati da Rfi o una sua mandataria. La conseguenza è che tutti i proprietari “non frontisti” devono adire l’Autorità giudiziaria affinché sia nominato un consulente tecnico d’ufficio che valuti la sussistenza o meno dei danni permanenti ai loro immobili. Molti altri invece, considerati “frontisti”, ricevono proposte minime non rapportabili alla reale riduzione di valore del proprio immobile. Tutto ciò è inaccettabile in un Paese liberale.

Le regole e i parametri delle Linee guida non possono stravolgere i fondamenti degli istituti di diritto, né i principi cardine stabiliti dalla Cassazione, presentandoli come iniqui e nascondendosi dietro al principio di parità di trattamento. Le Linee guida Tav citate, per come sono scritte e – peggio – per come applicate, non sono metodi di indagine empirici per garantire parità di indennizzo tra proprietari danneggiati permanentemente dalla presenza delle nuove linee ferroviarie. Al contrario, rappresentano un sistema obsoleto, discriminatorio, non conforme al dettato dell’articolo 44 citato e della giurisprudenza formatasi su di esso, volto all’impoverimento generalizzato e alla privazione dei diritti dei proprietari degli immobili. In questo senso, si rischia il “saccheggio legale” come inteso da Bastiat. Si tratta di una battaglia per la tutela del diritto di proprietà ed è imperativo intervenire.

Le Linee guida Tav sono superate e devono essere adeguate alla giurisprudenza recente o abbandonate. Più opportuno sarebbe un intervento completivo del legislatore volto, come già a metà dell’800 diceva Bastiat, a far rispettare il diritto di proprietà dei privati danneggiati in via permanente dal fenomeno dell’espropriazione larvata. In tale quadro, si prospetta l’opportunità di valorizzare le associazioni a tutela della proprietà privata e altre rappresentanze territoriali nelle trattative per giungere alla firma di protocolli di intesa con Rfi (o società sue mandatarie), i Comuni interessati, i general contractor pubblici o privati, al fine di definire – nel pieno rispetto delle norme e dei principi elaborati dalla giurisprudenza, un percorso chiaro, trasparente, agevolato e vigilato – i giusti indennizzi per tutti i proprietari di immobili. Così, è sempre attuale la frase di Karl Popper: “Il prezzo della libertà è l’eterna vigilanza”.

(*) Presidente Confedilizia Liguria

Aggiornato il 30 aprile 2024 alle ore 11:38