Si può fare innovazione in Italia?

Qualche giorno fa l’edizione torinese del quotidiano Repubblica ha pubblicato una lunga intervista a Baldassarre Monge, il fondatore dell’omonimo colosso del pet food. Monge racconta gli inizi della sua attività, quando vendeva i polli spennati da una panchina sul piazzale di Porta Nuova a Torino o preparava nella cucina di casa le prime confezioni di cibo per animali. Una storia di successo, di quelle da guardare con ammirazione e che è bene che la stampa racconti.
Cosa possiamo impararne? La lezione, paradossalmente, è che quelle storie d’impresa che hanno arricchito i nostri territori e il nostro Paese, oggi, sono totalmente anacronistiche. Le cose che Monge ha fatto per costruire la sua impresa, oggi, non le potrebbe più fare.

Lo ha notato Marco Cantamessa su X (ex Twitter), in una serie di tweet che vale la pena riportare: “Con le norme attuali, come avrebbe fatto a nascere questa impresa? Quali spazi di libertà e di sperimentazione vengono oggi lasciati a chi vuole fare l’imprenditore? Quanta energia e quante risorse dedica il neo imprenditore di oggi a sviluppare ciò che vuole il mercato, e quante invece alla compliance? So benissimo che le norme hanno la finalità di salvaguardare la società da problemi e abusi vari, dall’igiene ai diritti dei lavoratori, ma siamo sicuri che non si sia esagerato? Così facendo, pensiamo di proteggerci dai rischi presenti, ma precludiamo, a noi stessi e ai nostri figli, il diritto di costruire il futuro”.

Le nuove regolamentazioni vengono sempre presentate come necessarie per impedire abusi, per limitare i rischi (spesso, rischi per la salute delle persone) o per proteggere i soggetti più deboli. Può anche darsi che ogni tanto si rivelino misure efficaci, nel senso che raggiungono questo esito. Ma quello desiderato non è purtroppo il loro unico risultato e spesso non è neppure il più importante. Accanto ai benefici dichiarati, la ha regolamentazione sempre anche un costo: quello di limitare la libertà degli individui e delle imprese e, con essa, la loro possibilità di fare esperimenti. E, quindi, la libertà di scoprire cose nuove e modi nuovi per fare le cose che già conosciamo.

L’eccesso di regolamentazione priva la società di innovazioni che avrebbero potuto migliorare la qualità della nostra vita, risolvere problemi, accrescere la ricchezza di tutti o più semplicemente ridurre la fatica che il fare le cose porta con sé. Monge ha creato la sua azienda grazie al clima di relativa libertà economica che caratterizzava l’Italia negli anni del boom e in quelli immediatamente successivi. Ma quanti Monge avrebbero potuto fiorire negli anni Novanta e nel nuovo secolo, che invece sono stati bloccati da qualche astruso codicillo, da qualche concorrente più esperto nella lettura delle norme, o che semplicemente non ci hanno provato per timore di inciampare nel caos della burocrazia? Se non ci poniamo seriamente questa domanda, per riesaminare le regole esistenti e prima di introdurne di nuove, all’impresa mancherà sempre più l’ossigeno di cui ha bisogno. E la straordinaria creatività di cui gli italiani, giustamente, si vantano diventerà sempre più materia esclusiva per i nostri ricordi.

Aggiornato il 07 marzo 2024 alle ore 10:58