Un bilancio dei sussidi contro il caro energia

Nell’ultima edizione del suo bollettino mensile, la Banca centrale europea esorta gli Stati membri a “continuare a rimuovere le misure di supporto” contro la crisi energetica. Infatti, “questo è essenziale a evitare di sostenere le pressioni inflazionistiche di lungo termine, che altrimenti richiederebbero un’ulteriore stretta monetaria”. L’Italia ha già rimosso gran parte delle misure straordinarie introdotte tra la seconda metà del 2021 e la fine del 2022. È il momento, quindi, di farne un primo bilancio. Si possono trarre due lezioni, in particolare. La prima è che questi provvedimenti sono stati efficaci ma non efficienti. Senza dubbio, l’enorme spesa messa in campo dal Governo Draghi ha contribuito a mitigare gli aumenti. Ma molti dei beneficiari non ne avevano bisogno, e forse non se ne sono neppure accorti: il caso forse più clamoroso è l’estensione degli sgravi sulla bolletta elettrica alle seconde case, incluse quelle utilizzate solo per poche settimane all’anno durante le vacanze. I proprietari hanno avuto a tutti gli effetti uno sconto sulla spesa energetica non rispetto ai prezzi record, ma addirittura rispetto agli anni precedenti.

Si è molto discusso sull’esigenza di tutelare le fasce deboli della popolazione, ma di fatto questo obiettivo è stato demandato a due soli strumenti – i bonus da 150 e 200 euro e il potenziamento dei bonus sociali – mentre tutto il resto ha assunto la forma di trasferimenti a pioggia. Probabilmente, si sarebbe potuto raggiungere un obiettivo analogo spendendo molto meno, e limitando o riducendo gli aiuti a favore delle famiglie a più alto reddito. Inoltre, gli sgravi – in particolare quelli, costosissimi, sulle accise dei carburanti – sono stati mantenuti anche quando i prezzi erano tornati a livelli tollerabili, e anzi sono stati prorogati anche dopo le elezioni politiche, determinando una situazione difficilissima per chiunque si fosse trovato, all’indomani del voto, a dover scrivere in fretta e furia la nuova Legge di Bilancio.

Questa irresponsabile disinvoltura ha sottratto spazio fiscale in un momento in cui stava diventando chiaro che, dopo il “liberi tutti” pandemico, i vincoli di bilancio stavano tornando. La seconda conseguenza è legata proprio all’effetto macro di queste politiche. Non sappiamo se effettivamente abbiano sostenuto la domanda: in generale i consumi energetici sono relativamente rigidi; inoltre, qualunque spinta ai consumi è stata più che controbilanciata dalle temperature invernali miti (che hanno ridotto le esigenze di riscaldamento) e dal calo della domanda industriale (il cui significato di lungo termine deve ancora essere bene compreso, anche alla luce del rallentamento in atto).

Tuttavia, quando il Governo Meloni – che ha fatto di necessità virtù, assumendosi la responsabilità di eliminare molte agevolazioni nonostante le comprensibili resistenze – lamenta l’impossibilità di affrontare il raffreddamento dell’economia per mancanza di risorse, sta in realtà implicitamente dicendo che le risorse sono state erose dalle politiche sconsiderate del passato. Si è molto parlato – e anche noi lo abbiamo fatto – ma gli sgravi dell’energia sono la seconda causa dell’attuale difficoltà dei conti. Nel giro di un anno e mezzo, l’Italia ha speso (o rinunciato a esigere) circa 93 miliardi di euro, pari al 5,3 per cento del Pil. Nell’Unione europea, più di noi in valore assoluto ha speso solo la Germania (che però ha un’economia molto più grande della nostra), mentre in proporzione al Pil ci superano soltanto Austria, Bulgaria e Malta. Insomma: anche in questo campo, abbiamo speso troppo e abbiamo speso male.

Aggiornato il 17 gennaio 2024 alle ore 12:35