Il monito della Bce per la ratifica del Mes

Le scelte di incremento del tasso di interesse nell’Eurozona si accompagnano alle diffide della Bce al nuovo Governo sulla ratifica del Mes-Meccanismo europeo di stabilità.

Già la scorsa estate avevamo paventato i rischi di ricaduta finanziaria, in danno del debito sovrano italiano, delle decisioni della Bce–Banca centrale europea circa un aumento del costo dell’euro, in funzione antinflazionistica, in ragione dell’incremento del tasso di rimborso delle obbligazioni di Stato italiane. Vieppiù, la notizia dell’ulteriore aumento di fine anno ha prodotto preoccupazione nel nuovo Governo, che si è visto altresì contestare da madame Christine Lagarde anche la mancata sottoscrizione della legge di ratifica del Mes-Meccanismo europeo di stabilità.

Premessa, appunto, la conoscenza delle puntate precedenti va sottolineato che sembrerebbe essere venuto meno anche l’ultimo argine allo scarso entusiasmo dell’Italia, ancor meno di quella a guida meloniana, in merito alla ratifica dell’accordo del gennaio 2021, con cui il Mes era stato modificato e adattato ai tempi della pandemia. Con tale accordo, il Meccanismo europeo di stabilità, conosciuto anche come “Fondo Salva-Stati”, presenta cinque principali novità. La prima è la possibilità che il Mes faccia da “backstop” rispetto al Fondo di risoluzione unico (Fsr), un fondo finanziato dalle banche dei 19 Stati dell’Eurozona che ha l’obiettivo di risolvere le crisi bancarie. Se il Fsr finisce i soldi, può subentrare il Mes. In questo modo, si scoraggiano eventuali attacchi alle banche europee da parte di speculatori. La seconda novità è che in futuro il Mes avrà un ruolo maggiore quando si tratterà di fornire prestiti agli Stati in difficoltà. La terza: cambiano gli strumenti che ha a disposizione il Mes per intervenire in soccorso di un Paese in difficoltà e, in particolare, viene agevolato l’accesso alle linee di credito precauzionali da parte degli Stati che hanno i conti in ordine. Quarta novità: il Mes potrà fare da mediatore tra Stati e investitori privati qualora fosse necessaria la ristrutturazione di un debito pubblico. Quinta: i titoli del debito pubblico dei Paesi dell’area euro dal 2022 dovranno avere non più una Clausola di azione collettiva (Cac) a maggioranza doppia ma singola. Questo comporta che se uno Stato va in default e bisogna ristrutturare il suo debito pubblico – ad esempio offrendo ai detentori del debito stesso una percentuale del valore dei titoli per estinguerlo – non sarà più necessario il via libera da parte della maggioranza degli azionisti in ogni singola sottocategoria dei titoli stessi (ad esempio titoli triennali, quinquennali, decennali e via dicendo), ma sarà sufficiente una votazione a maggioranza di tutti i detentori dei titoli del debito pubblico.

Il 9 dicembre scorso la Corte costituzionale tedesca ha, infine, dichiarato inammissibile il ricorso (avanzato dalla Fpd-Partito Liberale tedesco, all’epoca all’opposizione ed, invece, dall’ottobre 2021 nel Governo di coalizione di Berlino insieme ai Verdi e alla Spd-Partito Social-Democratico) con cui era stata revocata in dubbio la legittimità di tale strumento finanziario della Unione europea per il possibile contrasto ai diritti sovrani degli elettori tedeschi in punto di scelte fiscali e finanziarie domestiche, sostenendo la Corte di Karlsruhe, senza però entrare nel merito della condizionalità economica propria dello strumento finanziario europeo, “dato che il Mes non esercita poteri sovrani nel decidere se concedere assistenza finanziaria e svolgere le relative funzioni, una disposizione procedurale relativa a tale processo decisionale e relativa ai compiti del Mes non costituisce un’autorizzazione all’esercizio di poteri sovrani”. E, quindi, non cagiona danni all’indipendenza politica di Berlino.

Tale anodina decisione, per la quale “l’utilizzo della Commissione europea e della Banca centrale europea ai fini del Mes non costituisce un nuovo compito, ma è già coperto dal programma di integrazione dell’Unione europea” dovrebbe, dunque, portare il presidente federale Frank-Walter Steinmeier a firmare la legge di ratifica del Mes. Con il che l’Italia rimarrebbe l’unico Paese Ue ad impedirne l’entrata in funzione con la sua omessa ratifica.

Ma qual è a ragione della insistenza della Bce-Banca centrale europea e quale il fondamento della ritrosia italica? Alla prima domanda si può rispondere ricordando la recente approvazione del Tpi–Transmission protection instrument, con il quale si prevede la possibilità di acquisti di dimensioni illimitate da parte dell’Istituto di Francoforte di obbligazioni dei Paesi dell’Eurozona che siano in difficoltà finanziarie per l’aumento dello spread, in funzione appunto di stabilizzazione dei mercati finanziari, ma a condizione che questi rispettino gli impegni in termini di politiche di bilancio ai fini della sostenibilità del debito pubblico e di effettiva attuazione dei programmi del Pnrr-Piano Nazionale di ripresa e resilienza.

È, dunque, tale condizionalità economica che paventa chi –come anche l’attuale Governo (non va dimenticato che neanche quello a guida draghiana lo volle ratificare) – tiene ad affermare le prerogative sovrane dello Stato membro, che in materia fiscale i Trattati assegnano ai singoli Paesi e a cui anche la stessa Corte costituzionale tedesca non ha derogato neppure con la soprarichiamata pronuncia, emessa pilatescamente in rito per la affermata inammissibilità del ricorso, poste a repentaglio dalla previsione di affidare alle istituzioni monetarie europee il controllo del rispetto, da parte degli Stati membri che ne siano beneficiari, di politiche di bilancio rigoriste ed, in definitiva, delle politiche economiche tout court del singolo Paese. Non sarà un caso, quindi, che, dopo la traumatica esperienza greca, nessun altro Paese della Ue ha dichiarato di volersene avvalere.

Pertanto, così come lo strumento dell’Omt-Outright monetary transaction, con il quale la Bce, sin dal 2011 del “whatever it takes”, poteva comprare in modo illimitato il debito pubblico dello Stato membro in difficoltà finanziarie, ma a condizione che questo accettasse di sottoscrivere impegni con il Mes–Meccanismo europeo di stabilità, che ne avrebbe condizionato fortemente l’autonomia in punto di politiche di bilancio, di fatto espropriandolo della sua titolarità di politica economica, non ha praticamente mai trovato attuazione, anche in ragione della mancata approvazione nazionale del Mes, pure la sua ultima versione modificata implica le stesse preoccupazioni, mentre dal versante della Bce e della Commissione europea si spinge perché non accada lo stesso al novello Tpi.

La partita, in conclusione, non è meramente di forma: si tratta, piuttosto, di chi deve comandare, se Bruxelles con i suoi eurocrati più o meno politicamente irresponsabili, ovvero i Parlamenti – e i Governi nazionali sostenuti dalle relative maggioranze – liberamente eletti proprio per dare seguito alle politiche su cui è stato suscitato il consenso popolare mediante il voto.

(*) Tratto dal Centro studi Rosario Livatino

Aggiornato il 23 dicembre 2022 alle ore 09:29