Colao e la “fiscalità sostenibile”

Tassano il concetto di lavoro

La fiscalità del futuro è stata tracciata nelle sue linee guida a Davos, l’Italia è certamente la nazione in cui si sperimenta un fisco green. Ma quali sono gli assi portanti della “fiscalità sostenibile”? Tutto si regge su tre piedi: la tassa evidente è la “carbon tax” seguita dalla patrimoniale (su risparmi e titoli, e anche su immobili e terreni) e dalla tassa sul lavoro. Quest’ultima è la più subdola, perché non verrebbe più colpito il reddito bensì il concetto di lavoro, la voglia dell’uomo di darsi da fare, di realizzare progetti, d’impiegare il proprio tempo. Quest’ultima tassa di fatto va a perfezionare le altre due, perché gli esseri umani si spostano per cercare lavoro e svago: secondo gli esperti di Davos è il movimento umano (il fattore antropico, l’accelerarsi del respiro) tra le principali concause d’inquinamento, e la popolazione per poter progettare il proprio movimento e il lavoro accantona risorse sotto forma di risparmi, titoli, immobili e terreni.

Ecco che il controllore Anubi (al secolo Vittorio Colao) ha ben pensato di far giocare all’Italia il ruolo di prima della classe, introducendo la tracciatura e profilatura totale del cittadino, che verrebbe continuamente controllato nei movimenti, nel lavoro, nei patrimoni, nei risparmi: il controllo diverrebbe perfetto grazie all’imposizione dell’identità digitale europea, a cui farebbe seguito l’obbligo di microchip sottocutaneo per accedere ai servizi (passaporto per esempio), all’uso dei mezzi pubblici e privati (patente) e al risparmio (moneta elettronica). Ecco che la popolazione perfetta per Davos dopo il 2030 dovrebbe essere costituita da disoccupati, poveri e immobili: una sorta di parco buoi avviato a miglior vita, e ci sarebbe per il sistema il solo costo del monitoraggio sanitario degli accidiosi, inebetiti, privati ormai d’ogni speranza.

Gli agricoltori olandesi, in rivolta contro il loro governo e l’Ue, vanno considerati come l’avvisaglia del piano di taglio occupazionale che partirà dall’autunno in Italia: per farla breve la chiusura di opifici, laboratori, officine e aziende agricole con importanti operazioni di polizia, e solo perché le strutture risulterebbero non green per le norme Ue. Va detto che per la maggior parte delle aziende non è intervenuto alcun aiuto pubblico sotto pandemia e nemmeno in emergenza bellica. Gli aiuti da Pnrr si sono rivelati compagni del 110 per cento per l’edilizia, ovvero elargiti solo a pochissimi soggetti agganciati con il sistema bancario e istituzionale.

La rivolta contro il governo olandese s’è appalesata con blocchi e confronti con le forze di polizia, e ci ha ricordato molto la rivolta dei tassisti: ma si tratta solo di due categorie in agitazione, tra qualche mese in Europa (soprattutto in Italia) i limiti al lavoro creeranno malessere e fermi in tutti i settori privati, uniche strutture a norma Ue si confermeranno gli impianti e le sedi delle multinazionali. La rivolta olandese è scattata a seguito del “piano anti-azoto” varato dal governo di L’Aia: presto anche l’Italia conoscerà i blocchi stradali degli agricoltori, e perché ogni ente Regione dovrà varare le riduzioni in agricoltura e zootecnia, nonché l’aggravamento di tasse su chiunque pratichi attività d’allevamento e coltivazione. Le produzioni non colpite da sanzioni e tasse si confermerebbero le aziende di proprietà delle multinazionali: parametri e riduzioni toccano esclusivamente strutture la cui proprietà è registrata in una regione d’Europa.

Dai resoconti delle agenzie apprendiamo che la polizia olandese ha arrestato diciannove manifestanti, tra cui nove minorenni, che nel cuore della notte avrebbero partecipato a organizzare un blocco stradale con centinaia d’agricoltori: l’episodio riportato dalle agenzie si riferisce a una strada limitrofa al centro di distribuzione agricola di Bleiswijk, nell’Olanda meridionale. Ma gli episodi di rivolta sarebbero stati più di uno, coinvolgendo migliaia di allevatori. Il caso è saltato agli onori delle cronache perché il sindaco di Bleiswijk ha chiamato la polizia antisommossa, dopo vari tentativi falliti di convincere gli agricoltori ad abbandonare il campo. La notizia è apparsa su NLTimes, insieme al particolare del confronto a fuoco tra agenti e contadini.

Ecco che in Olanda c’è stato un abbozzo d’insurrezione, e molto più importante del pacifico assalto a Palazzo Chigi fatto due giorni fa dai tassisti italiani. La polizia olandese ha arrestato i manifestanti intorno alle 4.30 del mattino. I loro trattori sono stati spostati in un altro luogo, dove non tutti gli agricoltori hanno potuto riprendere i mezzi d’opera, e perché le autorità starebbero valutando che un trattore posseduto da un agricoltore arrabbiato potrebbe trasformarsi in uno strumento d’attacco ai poteri istituzionali. Mentre ai centri di distribuzione di Facetlaan e Laan van Mathenesse per ben tre notti gli agricoltori hanno bloccato l’accesso alle strutture, sempre per protestare contro il piano del governo per l’abbattimento dell’azoto. Quest’ultimo è giudicato dannoso, e tutti dimenticano che è la base per i fertilizzanti: e poi ci dicono che questi ultimi mancherebbero a causa della guerra. I blocchi hanno di fatto paralizzato l’Olanda, nazione nota per il pacifismo e l’accondiscendenza di agricoltori e allevatori.

I blocchi hanno paralizzato il traffico tra Amsterdam e L’Aia, rendendo impossibile a qualsiasi cittadino fare la spesa nei supermercati Albert Heijn e Hoogvliet. Già dopo il primo giorno di blocco, i supermercati avevano dichiarato di aver subito danni per oltre dieci milioni di euro. A lamentarsi sono state soprattutto le multinazionali, ovvero le dirette concorrenti di contadini e allevatori. Il fenomeno olandese si conferma un salto nelle modalità di lotta, perché la polizia ha sparato ad altezza d’uomo sugli agricoltori, forte dell’appoggio delle istituzioni. Con molta probabilità i mesi di luglio e agosto scorreranno tranquilli, grazie alla distrazione della pausa estiva, ma ottobre è facile possa dimostrarsi il banco di prova delle tensioni sociali. Perché non tutti i lavoratori accetteranno un fermo, la disoccupazione, in attesa d’un sussidio vincolato alla tracciatura dell’inoperosità del soggetto.

Torniamo alla premessa: Klaus Schwab, l’economista padre del vertice di Davos, ha detto chiaramente che necessita ridurre entro breve tempo a un terzo la popolazione umana che lavora, e che la metà di quest’ultima deve essere impegnata nel controllare e tracciare tutta l’umanità. Una drastica messa a riposo, perché le multinazionali possano appaltare le produzioni ai robot, all’intelligenza artificiale. Per realizzare il piano, in ogni nazione occidentale oggi c’è un emulo di Vittorio Colao, pronto a varare la tracciatura continua dei cittadini, così da poter sanzionare ogni loro movimento, impegno, passatempo, hobby.

Nemmeno più l’amore o le passioni rimarrebbero segrete, poiché impegnano l’uomo, lo fanno muovere. Ma sarebbe realizzabile bloccarle l’uomo tra accidia e inedia, impedendogli di progettare un impegno, un guadagno, la realizzazione personale? E siamo sicuri che tutti accetteranno la tracciatura continua e totale? Evitando paragoni con varie profezie, sorge comunque il dubbio (e la speranza) che il popolo possa ben preso confrontarsi con il potere, con coraggio e sapendo “di non aver altro da perdere che le proprie catene”. Nella chiosa c’è sfuggita una frase del barbuto di Treviri, e pensare che lui reputava il fattore lavoro fondamentale per affrancare il proletariato dalla sudditanza: ma i suoi proseliti ospitati a Davos lo hanno mal interpretato, e oggi il rischio d’un confronto tra capitale (oggi potere di sorveglianza) e popolo sarebbe davvero esplosivo.

Aggiornato il 08 luglio 2022 alle ore 11:04