Dalla tragedia alla farsa

Uno dei principali fondi americani sta lanciando un programma di investimento in private equity (ossia diretto a società non quotate in Borsa) in aziende impegnate in progetti sostenibili. In altre parole, la scelta degli obiettivi di investimento verrebbe operata dai gestori, in base all’aderenza a quei famosi 17 principi di sostenibilità, sanciti dalle Nazioni Unite. Il più famoso (oltre che assai ambizioso e controverso) è l’accelerato piano di decarbonizzazione contro i cambiamenti climatici. Ma comprendono anche amenità quali l’inclusione, la resilienza, la riduzione delle disuguaglianze ecc. ecc..

Ora, che tutti questi nobili propositi possano giovare allo sviluppo umano si può anche discutere, ma che essi siano in grado, contemporaneamente, di garantire, investendovi privatamente, un soddisfacente ritorno economico, mi sembra, quanto meno, non assodato né automatico. Il driver degli investimenti resterà sempre la valutazione del rischio e la loro remunerazione. È singolare che l’introduzione di un “gradiente” etico nel mercato arrivi proprio da quel mondo finanziario che continua ad affidare alla implacabile spietatezza di algoritmi o di freddi rating, le decisioni operative nelle Borse di tutto il mondo.

Pretendere di ideologizzare il mercato ricorda molto i fallimentari tentativi di pianificazione dell’economia su cui sono naufragate, praticamente, tutte le esperienze di socialismo reale del secolo scorso. Che questo ruolo pedagogico sia passato dal partito unico dei totalitarismi comunisti alla oligocrazia finanziaria mondiale forse, non è casuale: una trascorsa tragedia si ripropone sempre in farsa.

Aggiornato il 01 giugno 2022 alle ore 13:46