Franco africano, davvero è la fine?

Il panorama internazionale questa settimana è pieno di sorprese molte delle quali giunte da Parigi. Dopo la riunione del presidente Emmanuel Macron con la cancelliera Angela Merkel che ha partorito la l’ottima proposta di aiuti a fondo perduto da trarre dal bilancio della Commissione ora arriva la notizia del disegno di legge francese che sancisce la fine del contestato franco africano Cfa utilizzato dal 1945 in alcuni Paesi africani ex colonie francesi. Quando fu creato il franco Cfa significava “il franco delle colonie francesi in Africa”. Dopo l’indipendenza degli anni ‘60, il nome si era già evoluto fino a diventare “franco de la Communauté financière africaine” ma questo nome continuò ad essere percepito come un simbolo post-coloniale. La rivoluzione era stata preannunciata lo scorso 21 dicembre nel contesto di una riunione ad Abdijan tra il Presidente francese e quello ivoriano, Alassane Ouattara, quando fu dichiarata ufficialmente la sostituzione del franco Cfa con una nuova moneta da denominarsi Eco.

Ora il proposito è stato tradotto in un atto normativo ma al di là della soddisfazione da esprimere per quella che è stata definita una “svolta storica” nelle relazioni fra gli Stati membri dell’Uemoa (Unione economica e monetaria dell’Africa occidentale di cui fanno parte Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea-Bissau, Mali, Niger, Senegal e Togo) e la Francia, al momento non si capisce come la nuova moneta potrà mantenere la stabilità con l’euro come è stato precisato. Viene infatti mantenuta la parità fissa con l’euro del franco Cfa, futuro eco (1 euro = 655,96 franchi Cfa) al fine di evitare i rischi di inflazione molto comune nei restanti paesi africani. Tale parità fissa è una delle caratteristiche della nuova moneta più criticata dagli economisti africani, secondo cui l’euro, moneta forte, pone problemi per le economie della regione, molto meno competitive, che necessitano dare la priorità alla crescita economica e all’occupazione piuttosto che affrontare l’inflazione. Gli stessi economisti avrebbero preferito perseguire lo strumento dell’indicizzazione su un paniere delle principali valute mondiali, il dollaro, l’euro e lo yuan cinese, corrispondenti ai principali partner economici dell’Africa.

Due sono i cambiamenti invece immediatamente percepiti come positivi. Secondo la riforma, la Banca centrale degli Stati dell’Africa occidentale (Bceao) non dovrà più depositare metà delle sue riserve valutarie presso la Banque de France, ossigeno per le casse d’oltralpe da sempre percepito come una dipendenza umiliante verso la Francia. La Bceao “non avrà più alcun obbligo speciale in futuro in merito all’investimento delle sue riserve valutarie” e “sarà libera di collocare i suoi beni come vorrà”. L’accordo prevede, inoltre, che la Francia ritirerà i propri rappresentanti dagli organi di governo dell’Unione monetaria dell’Africa occidentale dove era presente. “La Francia non nominerà più alcun rappresentante nel Consiglio di amministrazione e nel Comitato di politica monetaria del Bceao o nella Commissione bancaria della Wam”, ha spiegato l’Eliseo.

Si tratta di “disinnescare le critiche”, secondo cui la Francia ha continuato a dettare le sue decisioni in questi casi tramite i suoi rappresentanti. Ulteriori sono i dubbi della riforma. Parigi manterrà il suo ruolo di garante finanziario per gli otto paesi Uemoa interessati. “Se la Bceao affronta una mancanza di disponibilità a coprire i propri impegni in valuta estera, sarà in grado di ottenere dalla Francia gli euro necessari “ha chiarito l’Eliseo. Questo eccesso di generosità suscita qualche dubbio che sarebbe troppo sbrigativo liquidare quale debito di riconoscenza. Inoltre per il momento rimarrà escluso un altro gruppo di Paesi operanti con la vecchia moneta, ossia quelli appartenenti alla comunità economica e monetaria dell’Africa Centrale (Cemac): Camerun, Ciad, Gabon, Guinea Equatoriale, Repubblica Centrafricana e Repubblica del Congo.

Aggiornato il 22 maggio 2020 alle ore 12:28