Ho partecipato ad una conferenza organizzata dall’Università Pegaso sul tema “La città europea tra dimora e spazio di negotium”; l’intera conferenza si è incentrata in un confronto – dibattito tra il professor Alessandro Bianchi e il professor Massimo Cacciari. Mi ha colpito, in modo particolare, un approfondimento del professor Cacciari sul tema della “esigenza di nomadismo ed esigenza di dimora”. Una dicotomia che, senza dubbio, caratterizza la società di oggi e la rende diversa da quella che eravamo abituati a conoscere, a capire, a interpretare. Ci si muove spesso senza un riferimento programmatico ben definito, si viaggia, si vive nel “paese – mondo” e poi però si ha bisogno di tornare ad una dimora certa, ad una dimora scelta, ad una dimora preferita. Queste due caratteristiche o meglio queste due categorie esistenziali, negli ultimi trenta anni, sono state ulteriormente amplificate dal servizio offerto dall’Alta Velocità ferroviaria.
Oggi circa 13 milioni di italiani si sentono al tempo stesso “nomadi” in quanto la residenza, il domicilio è solo quello della “dimora” ma il lavoro, le attività lavorative in molti casi sono ubicate in un’area completamente diversa. Si lavora a Napoli ma si dorme a Roma, si lavora a Firenze ma si dorme a Bologna, si lavora a Milano ma si dorme a Torino. E queste nuove abitudini stanno cambiando e cambieranno sempre di più; in realtà cambierà il concetto di “città”, cambierà il concetto di “costruito”, di “urbano” e, a mio avviso, è errato definire la rete ad alta velocità ferroviaria “la metropolitana del Paese” perché la metropolitana ha una caratteristica, ha una funzione che si conclude all’interno del “costruito” invece l’alta velocità ferroviaria supera questo limite e consente un matrimonio, una integrazione tra “costruito” e “non costruito” e mentre la metropolitana non genera una forma di nomadismo il treno e la distanza percorsa modificano sostanzialmente i riferimenti che ognuno di noi ha nascosti all’interno del proprio subconscio e che non possono essere annullati dal fattore “velocità”. Napoli rimane Napoli, Roma rimane Roma, Bologna rimane Bologna, Firenze rimane Firenze, in realtà non si creano quelle che spesso erroneamente definiamo “macro – urbanizzazioni” o “città – lineari”; queste sono definizioni di effetto, forse anche utili per interpretare un fenomeno, tuttavia non riescono a descrivere un fenomeno che ha cambiato i connotati di ciò che caratterizza il mondo del lavoro, il mondo dei rapporti sociali.
In realtà è venuta meno, o è stata rivisitata in modo sostanziale, la definizione di città data da Max Weber “ambito territoriale caratterizzato dalla presenza di un complesso di funzioni e di attività integrate e complementari, organizzato in modo da garantire elevati livelli di efficienza e da determinare condizioni ottimali di sviluppo delle strutture socio – economiche”; nella metà del 1.800 non era prevedibile un fenomeno che abituasse i fruitori di una realtà urbana a vivere da nomadi e, al tempo stesso, ricercare sempre più un riferimento fisso dove abitare.
Questo merito o questa condizione offerta da una modalità di trasporto trova all’interno del nostro Paese due ulteriori singolarità:
- Con mille chilometri di nuova rete ferroviaria ad alta velocità vengono serviti circa 13 milioni di utenti. Questo non avviene in nessun Paese della Unione Europea; né in Spagna dove i chilometri di rete ad alta velocità superano i 4.000 chilometri, né in Francia dove i chilometri superano i 2.000 chilometri, né in Germania e questa rara singolarità è dovuta proprio al fatto che la rete italiana aggrega le realtà urbane più ricche di abitanti e quando sarà pronto il collegamento Napoli – Bari il bacino di utenza supererà i 14 milioni di utenti
- La presenza di due Società, Trenitalia del Gruppo Ferrovie dello Stato e Italo di Nuovo Trasporto Viaggiatori, ha generato due grandi risultati: una corretta concorrenzialità e una elevata efficienza nella frequenza della offerta. Ormai gli utenti del sistema ferroviario ad alta velocità sono serviti con una frequenza che spesso è al di sotto dei trenta minuti e ciò aumenta in modo sostanziale la domanda e amplifica le logiche con cui vengono decisi gli insediamenti abitativi fissi.
Prende corpo però una banale considerazione: questo modello di riorganizzazione dei propri ritmi di vita viene vissuto solo da quasi un terzo della popolazione attiva del Paese e per gli altri due terzi invece sono rimasti inalterati i ritmi e le logiche tipiche della città, della distanza tra città, dei tempi regalati alle lunghe attese, del pendolarismo ancora inefficiente e inefficace. Questa sostanziale distinzione tra fruitori di una offerta ferroviaria ad alta velocità e ad alta frequenza e fruitori di una rete ferroviaria tradizionale senza dubbio si configura come una forte disuguaglianza tra cittadini dello stesso Paese e forse questa presa di coscienza porterà nel tempo a trasformare il pendolarismo ferroviario in un modello di offerta più efficiente, sia in termini di qualità dei treni, sia in termini di frequenza, sia in termini di qualità dei nodi stazione.
In fondo “l’alta velocità – alta frequenza” con i suoi 1.000 chilometri è stata, e sarà sempre più in futuro, il motore del cambiamento delle abitudini di chi vive in grandi aggregazioni urbane e, al tempo stesso, sarà la causa determinante di una rivisitazione della offerta del servizio di trasporto pendolare in modo da ridimensionare le distanze tra due servizi garantiti dalla stessa modalità di trasporto: il treno.
(*) Tratto dalle Stanze di Ercole
Aggiornato il 05 dicembre 2019 alle ore 10:38