Un’idea diversa di Sud

II Rapporto Svimez sull’economia e la società del Mezzogiorno presentato laltro giorno alla Camera dei deputati restituisce, purtroppo, un’immagine sconfortante del Sud.

Il dato più allarmante non è la mancata crescita del Pil o dei consumi alimentari, l’incidenza della povertà assoluta, il triste primato per disoccupazione femminile, o il crollo degli investimenti pubblici. Il dato più allarmante è la crisi demografica. Nel Sud tradizionalmente popoloso, nel 2018 sono nati solo 157mila bambini, 6mila in meno rispetto al 2017. Negli ultimi venti anni gli abitanti sono aumentati di 81mila unità, rispetto ai 3.300.000 del Centro-Nord. La popolazione autoctona, sempre secondo lo Svimez, è diminuita di 642mila persone, mentre al Nord è aumentata di 85mila. Al crollo di nascite si somma l’emigrazione dei giovani: 2 milioni dal 2000, di cui il 20 per cento laureati. Dove i giovani non ci sono, perché se ne vanno o perché non sono mai nati, le società sono condannate a un declino senza appello. Un declino ancora più rapido se quelli che restano sperimentano, come al Sud sempre secondo il rapporto Svimez, un abbandono scolastico di 7 punti percentuali superiore al Centro Nord, e di 8 rispetto alla media europea.

Nel presentare il rapporto, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte (2) sembra aver implicitamente smentito il Governo Conte (1), laddove ha riconosciuto, nonostante il varo del reddito di cittadinanza pensato dal suo precedente esecutivo proprio per il meridione, che la politica negli ultimi 20 anni ha “disinvestito nel Sud”.

Che fare, allora? Servono e bastano investimenti pubblici? Se il Leviatano è già affamato di suo, è difficile che possa stimolare una ripresa del Sud a suon di agevoli investimenti. Anche quelli cofinanziati o finanziati dall’Europa, date le condizioni infrastrutturali esistenti, rischiano di diventare cattedrali nel deserto.

Nessuno, in realtà, sembra mai aver provato un serio piano alternativo rispetto a finanziamenti e investimenti pubblici. Un piano fatto di libertà, dalle clientele in primo luogo, dalla burocrazia e dalla politica locale che intercettano i soldi che arrivano, da regole e sprechi che, se fanno danni al Nord, ne fanno doppi al Sud. Se quanto fatto finora, dalla prima repubblica in poi, si è dimostrato non solo inutile, ma persino dannoso, come certificano lo Svimez e, con un orizzonte temporale più ampio, anche Guido de Blasio e Antonio Accetturo nel nostro Morire di aiuti, forse è il caso di provare un programma alternativo, dove le istituzioni pubbliche si fanno garanti della legalità e dove chi vuole, anche fosse straniero, possa investire in territori in cui, volendo e potendo, c’è ancora molto da fare.

I problemi del Sud sono complessi ed è chiaro che le soluzioni non sono né facili né di breve momento. Senza alcuna demagogia e con il rischio di apparire banali ci sembra sia davvero il momento, date le condizioni fotografate anche dallo Svimez, di cominciare almeno a ragionare su possibili soluzioni differenti da quelle finora inutilmente percorse.

Aggiornato il 06 novembre 2019 alle ore 16:46