Globalismo o Nazionalismo: qual è il futuro?

Il rifiuto della globalizzazione era stato elemento centrale della campagna elettorale di Donald Trump e il 24 settembre scorso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite lo ha ribadito con queste parole: “Guardandosi intorno su questo grande, magnifico pianeta, la verità è evidente, se vuoi la libertà, sii orgoglioso del tuo Paese. Se vuoi la democrazia, mantieni la tua sovranità. E se vuoi la pace, ama la tua nazione. I leader saggi mettono sempre al primo posto il bene della propria gente e del proprio Paese”. E poi: Il futuro non appartiene ai globalisti, il futuro appartiene ai patrioti”. Il futuro appartiene alle nazioni sovrane e indipendenti che proteggono i loro cittadini, rispettano i loro vicini e onorano le differenze che rendono ogni Paese speciale e unico. Trump si è dunque richiamato al nazionalismo come alla forma politica che protegge i cittadini dalle minacce esterne, contrastandolo con il globalismo dei “confini aperti” che ha definito “crudele e malvagio”.

Ma cosa si intende per globalismo? È la globalizzazione economica? Non solo, il concetto abbraccia anche quello di globalizzazione politica, inseparabile, purtroppo, da quella economica. La globalizzazione economica che è l’integrazione mondiale dei mercati intensificatasi nei tempi moderni grazie allo sviluppo della connettività globale, in fondo, è sempre esistita: nessun Paese ha mai prodotto solo per soddisfare solo le proprie esigenze, ma ha prodotto anche per soddisfare quelle di altri Paesi.

La globalizzazione politica, invece, è l’integrazione, nel sistema mondiale, dei governi nazionali con tutti quegli elementi indipendenti, come le organizzazioni internazionali governative e non governative e i movimenti sociali organizzati, tutti con la missione di far fronte a problemi sempre più complessi che spaziano dalle crisi economiche alla protezione dell’ambiente e che per essere risolti richiedono un processo decisionale centralizzato, cioè, una global governance.

Quindi, una burocrazia sovranazionale non eletta che opera su base monopolistica, senza dover rendere conto a nessuno, detta regole al mondo intero per unirlo sotto un unico sistema planetario, ritenendo che gli Stati nazionali, ormai obsoleti, debbano essere sostituiti da un potere politico attivo a livello globale. Nella pratica, i globalisti lavorano a questo obiettivo attraverso organizzazioni formali come l’Onu, il Fondo monetario internazionale, la Banca Mondiale e l’Ocse, le prime organizzazioni nate per promuovere la globalizzazione politica. L’ultima in ordine di tempo e più rappresentativa istituzione globalista è l’Unione europea, concepita come superstato centralizzato per dissolvere gli Stati nazionali come zollette di zucchero in una tazza di acqua calda.

A livello informale, invece, la globalizzazione politica opera attraverso istituzioni come Fondazioni, Ong, la Commissione trilaterale e, soprattutto, il World Economic Forum di Davos, dove le élites cosmopolite lanciano programmi di politicizzazione dell’economia, del sistema educativo, religioso e culturale per dirigere e determinare tutte le relazioni tra le persone nei vari continenti. In contrasto con forme democratiche di governo, il globalismo non consente all’elettorato di esprimersi su questioni fondamentali come, ad esempio, la Brexit, perché, come ha affermato Angela Merkel,: “I politici non devono ascoltare la volontà dei loro cittadini quando si tratta di questioni di sovranità“ (discorso del 29 dicembre 2018 alla Konrad Adenauer Foundation, Berlino)

Alla base di questa concezione che compenetra i media dominanti e la politica, c’è il pensiero socialista, collettivista, anticristiano e antioccidentale. Anche la gestione della crisi migratoria che attualmente affligge l’Europa, nasce dall’approccio internazionalista alla politica estera di élites privilegiate che, chiuse nelle loro torri d’avorio e col pretesto dell’intervento umanitario, mirano alla conquista demografica dell’Occidente da parte del Terzo Mondo, cioè al “genocidio bianco” e, in definitiva, al crollo di qualsiasi resistenza al governo socialista globale.

Punto di forza dell’agenda globalista è il piano fiscale di sorveglianza planetario, il controllo poliziesco sui redditi delle popolazioni. Sponsor di rilievo di questa operazione è il Fondo Monetario Internazionale, che in un documento ufficiale ha auspicato il governo mondiale tramite l’arma fiscale. Ma la copertura perfetta all’agenda globale è fornita dalla lotta al cambiamento climatico, in quanto la gestione del fenomeno richiede una politica coordinata a livello internazionale per giustificare ulteriore tassazione e, al fine di gestire l’emergenza, una governance autoritaria in nome della salvezza del mondo.

La maggior parte dei globalisti, troppo arrogante per mettere in discussione la propria visione del mondo, credeva che la globalizzazione portasse al declino definitivo dello stato-nazione creando un nuovo ordine mondiale, senza capire che le tendenze nazionaliste e populiste non sono affatto un’anomalia ma forze potenti che emergono sempre in tempi di declino economico e sono in grado di invertire qualsiasi altra politica soprattutto quando monta la rabbia e la frustrazione della maggioranza che vede arricchirsi solo una minoranza privilegiata. Pertanto le élites sovranazionali sono rimaste spiazzate sia dalla dichiarazione di indipendenza del Regno Unito dalla Ue, sia dall’elezione di Donald Trump, due inequivocabili e forti manifestazioni di antiglobalizzazione.

Come la concorrenza tra le singole imprese produce risultati migliori, mentre i monopoli e gli oligopoli danno luogo a inefficienza e sono contro gli interessi dei consumatori, lo stesso vale anche per i governi. Si dovrebbero dunque accogliere con favore i nazionalismi e deplorare le cessioni di sovranità a un governo globale incontrollabile e senza concorrenza. È importante osservare, infatti, che le “agende globali” sempre svantaggiose per le popolazioni, vengono fatte accettare come “accordi internazionali” per evitare ripudi elettorali e correzioni democratiche. Per tal motivo tutti i trattati internazionali vanno visti con sospetto perché, quasi sempre, vanno contro gli interessi della gente.

Tuttavia è da ingenui credere il futuro non appartiene ai globalisti ma agli stati-nazione. Lo stato sovrano, così come è oggi, sempre più intrusivo, tassatore, redistributore e corrotto non è affatto fonte di sicurezza e ha sempre meno la fiducia dell’elettorato. La soluzione alla miriade di problemi sociali ed economici della società occidentale non può venire né dal globalismo né da nessuna riforma degli stati nazionali, ma dalla loro dissoluzione. La salvezza è nella decentralizzazione politica: solo attraverso un mondo composto da centinaia, se non migliaia, di Liechtenstein, Hong Kong, Monaco, confederazioni e città libere si può sfuggire alla tirannia della centralizzazione politica.

Aggiornato il 04 ottobre 2019 alle ore 10:31