“Chi ha più Pil ha più... appeal”! Quanto più cresce questo numeretto magico e diabolico, tanto più aumenta il potere di chi ne beneficia. E questo qualcuno non è mai il “Popolo” sovrano che, anzi, lo subisce e ne soffre la tirannia dato che benessere economico non fa mai rima con felicità. Tant’è vero che se usassimo correttivi come la diffusione delle droghe (anche quelle lecite da ricetta medica, tipo Fentanyl e derivati, migliaia di volte più potenti dell’eroina, che ogni anno in America fanno più di 60mila vittime per overdose!); l’indice di microcriminalità; le morti per inquinamento; etc., ne verrebbe fuori che Nazioni oggi sull’olimpo mondiale per grandezza del Pil e per la crescita relativa finirebbero molto più in basso del Costarica. No, non sono utopie, come ci spiega l’interessante saggio divulgativo “Presi per il Pil” di Lorenzo Fioramonti (Edizioni dell’Asino d’oro). Il Prodotto interno lordo, in fondo, ha lo stesso odore sulfureo del denaro, sterco del diavolo e Pomo d’Adamo da distribuire in grandissima abbondanza per la perdizione eterna dell’umanità intera.
Basata sul mito autodistruttivo della crescita illimitata e del consumismo senza freni e globalizzato, la dittatura del Pil decide la caratura, il peso e l’influenza nelle decisioni internazionali dei Paesi al vertice della piramide relativa, con i loro nomi collettivi come G8, G7, G20 che incutono timore a tutti gli altri.
Fioramonti ci spiega che fu lo stesso Simon Kuznets, ideatore di quel numero pigliatutto per aiutare l’America a vincere negli anni 40 la sfida mondiale della programmazione dello sforzo bellico, ad avere seri dubbi teorico-pratici sulla sua capacità di rappresentare in tempo di pace la realtà complessa di un sistema-paese, soltanto ricorrendo a una misura monetaria del valore di mercato dei beni finali e dei servizi prodotti in un determinato periodo di tempo. Per esempio, tutto ciò che riguarda lo scambio di beni e servizi che non siano monetizzabili non è preso in considerazione dal Pil. In termini pratici, se un volontario assiste un anziano o sostiene una famiglia nell’accudire bambini e nel fare la spesa, ebbene questa azione viene ignorata dal Pil. Se però quegli stessi servizi informali sono formalmente prestati da un infermiere professionista o da una domestica regolarmente stipendiati, allora quel reddito è calcolato nel Pil.
Quindi, tutte quelle comunità grandi o piccole che si sostengono attraverso il lavoro cooperativo e la rete familiare di assistenza e microcredito, oppure che fanno affidamento sui principi del baratto (consumi a km zero dei prodotti della terra, in cambio di altri beni o servizi non retribuiti in denaro) non sono Pil-compatibili. Come non lo è il concetto del consumo degli immensi beni messi gratuitamente a disposizione dell’uomo da parte della natura. Così, i pesci del mare che non vengono trattati in campi di allevamento marini non sono contabilizzabili nel Pil come risorse. Ciò che conta sono esclusivamente le azioni dei produttori e dei consumatori. Per cui, in modo certamente folle, si perseguono politiche di crescita del Pil basate sulla distruzione sistematica di risorse naturali (inquinamento delle acque e dell’aria, esaurimento dei bacini minerari e petroliferi, etc.) e sul consumismo, facendo in modo da incentivare l’invidia sociale nei confronti di chi ha un reddito più alto, cosa che come tutti sappiamo genera profonda infelicità e costringe gli individui a vivere esistenze alienate che si annodano su più produzione e più consumo. I terreni agricoli non valgono nulla se non sono edificabili, sottraendo così ai cittadini enormi spazi di verde urbano.
Soluzioni? Costruire indicatori alternativi al Pil, più equilibrati ed ecosostenibili. Con particolare riferimento ad aspetti non banali, più scientifici, di decrescita armoniosa e felice.
Aggiornato il 16 aprile 2018 alle ore 14:30