Una riforma fiscale per il ceto medio

Quante volte avrete sentito parlare, a proposito di un centrodestra in crisi, di “recuperare lo spirito del 1994”. A quell’epoca ero appena diventato maggiorenne ma ciò che ricordo meglio era lo spirito di novità, ma anche di proposta e di coraggio, che il centrodestra seppe rappresentare. Eravamo ancora Alleanza nazionale, un partito variegato che sapeva parlare a disoccupati, operai, e anche al cosiddetto popolo delle partite Iva.

Mi è difficile però, nel tempo, pensare a un centrodestra vincente senza la proposta di una credibile riforma fiscale. A distanza di anni, infatti, mettici Maastricht, la sinistra al governo, qualche occasione persa anche da noi, il problema italiano resta sempre lo stesso: l’eccessiva pressione fiscale. E se ne è accorta anche la sinistra, viste le ultime roboanti parole del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan.

E questa eccessiva pressione fiscale, soprattutto se raffrontata al contesto internazionale, è in primis rappresentata dal cuneo fiscale, e cioè il livello dei contributi e di tasse che l’imprenditore deve pagare per ogni dipendente in forza, la differenza dunque tra salario lordo e quello netto (cioè quello intascato realmente dal lavoratore).

È un eccesso di pressione odioso, perché colpisce come al solito le imprese, ma anche i lavoratori, i quali in buona parte dei casi non sono messi in regola proprio a causa di costi eccessivi da sopportare per le nostre attività. A poco serve lo slogan renziano che parla di Jobs Act, men che meno le urla veterocomuniste dell’imprenditore che deve assottigliare il proprio profitto per regolarizzare i lavoratori. La crisi morde da tempo, le imprese sono in difficoltà, tante hanno già chiuso i battenti e fioccano i disoccupati.

E allora se qualche giorno fa parlavamo di come il centrodestra debba andare a recuperare i propri voti nel bacino di chi, per protesta, aveva votato Beppe Grillo e oggi si sente deluso, forse poco preciso ero stato nel non specificare che: il centrodestra deve andare a riprendersi il popolo delle partite Iva, lo deve fare con una proposta fiscale forte e credibile, parlando anche ai cuori di imprenditori e professionisti.

Questi sono tristemente diminuiti a causa della crisi, ma sono comunque tanti. Fanno parte di un ceto medio impoverito e, soprattutto, non sono affatto più moderati, di cultura politica non sono di sinistra e tradizionalmente sono sensibili alle nostre azioni. Sono, inoltre, molto severi ed esigenti, non si turano il naso quindi, e se delusi non hanno nessun problema a restarsene a casa il giorno del voto. Non vogliono essere presi in giro e non si fanno prendere in giro, per questo quando hanno visto nei mesi scorsi le solite facce del centrodestra sugli schermi non solo hanno cambiato canale, ma hanno cambiato anche partito da votare.

Bisogna quindi fare attenzione a chi fa queste proposte, alla credibilità delle stesse e ai tempi in cui sono formulate. Non possiamo parlarne troppo in prossimità del voto dunque. Non possiamo farle fare a chi ne ha fatte già tante. Non possiamo, infine, perdere credibilità nel proporre assurdità, obiettivi irraggiungibili e stupidaggini varie.

Matteo Salvini propone la flat tax? Benissimo, cerchiamo di analizzarla con numeri e studi alla mano, mettendo tutti in grado di poter spiegare cosa proponiamo e cosa accadrà. Dobbiamo ridurre le tasse? Certamente, ma parliamo di vincoli di bilancio e di dove andare a prendere le risorse per la relativa copertura. In tal senso, sarà utile riprendere le proposte di Fratelli d’Italia sulla revisione delle pensioni d’oro e sull’abbattimento delle spese per migranti, sull’abolizione di enti inutili e tax expenditures (ovvero agevolazioni ed esenzioni fiscali) inefficaci, sull’eliminazione di privilegi medioevali ancora presenti nel sistema Paese, comprese quelle di cui godono buona parte degli intermediari finanziari. In questa direzione Giorgia Meloni è stata più volta chiara e determinata: sarà necessaria una riforma vera della Costituzione con l’inserimento di un tetto alle tasse, occorre capire fino a quanto si può chiedere alle famiglie, fin dove è sostenibile la pressione fiscale e mettere questo nella carta del Popolo. È necessario distinguere tra chi ha evaso perché disonesto e chi non ce la fa oggettivamente a pagare le tasse e finisce, spesso, in braccio all’ usura. Serve uno Stato giusto e coraggioso che non metta le mani nelle tasche dei soliti noti.

Ma, soprattutto, se l’obiettivo è sposarci con una ripresa economica che tarda ad arrivare, di certo non potremo farlo con i fichi secchi, e sarà dunque indispensabile rinegoziare i parametri depressivi imposti da Bruxelles.

(*) Consigliere regionale del Lazio e membro dell’Assemblea nazionale di Fratelli d’Italia

Aggiornato il 03 maggio 2017 alle ore 19:37