Elogio della festività

La disoccupazione resta, purtroppo, uno dei grandi problemi del nostro Paese. Più di tre giovani su cinque non lavorano, e più di tre persone su dieci non cercano nemmeno lavoro. Proprio l’altro giorno l’Istat ha comunicato nel bollettino mensile riferito al mese di febbraio che il tasso di disoccupazione è sceso di 0,3 punti percentuali, ma è aumentato dello 0,4 per cento quello degli inattivi. Però una delle polemiche della settimana scorsa ha riguardato la scelta di uno dei più grandi outlet italiani di lavorare (e far lavorare) anche il giorno di Pasqua. Contro questa scelta è stato indetto uno sciopero.

Sarà anche di una “tristezza inaudita” che i giorni di festa si trascorrano al centro commerciale, come ha detto il segretario della Cisl, Annamaria Furlan. Di modi tristi di trascorrere la Pasqua a noi sembra ce ne siano ben altri e più seri, ma è chiaro il messaggio che il sindacato condivide con molte altre istanze compresa la Chiesa, per cui ci sono modi di trascorrere il tempo libero più consoni, tradizionalmente, al senso della famiglia, della socialità e del sacro. Non è indispensabile fare acquisti durante le feste, e chi pensa che sia triste fare un giro al centro commerciale a Pasqua può tenersene alla larga. Ma non è nemmeno comprensibile perché debba imporre la sua visione del mondo agli altri.

Commessi e dipendenti possono lavorare di più, ma soprattutto possono lavorare più persone. A meno di non violare le leggi, non si possono superare limiti orari giornalieri e su base mensile. Per stare più aperti, gli esercizi commerciali devono ingaggiare più personale. Se non lo fanno, operano illegalmente e le ragioni dei dipendenti possono quindi essere fatte valere per le vie opportune. Chi ha bisogno di lavorare è verosimile che preferisca accettare condizioni di lavoro impegnative, piuttosto che perdere il posto. È, anche questa, una scelta più che comprensibile, in un mercato del lavoro che registra una difficoltà cronica a trovare un’occupazione al punto che sempre più persone rinunciano persino a cercarla.

Lo abbiamo ripetuto molte volte: la liberalizzazione dei negozi non obbliga a stare aperti, ma consente ai singoli commercianti di scegliere quando e se esserlo, in base alle esigenze della clientela. E a molte persone di fare qualche ora di straordinario, o di essere assunti all’occorrenza.

Aggiornato il 26 giugno 2017 alle ore 12:46