I risultati delle votazioni per la Brexit nel Regno Unito, le presidenziali americane con la vittoria di Donald Trump e quelli sul referendum costituzionale in Italia hanno dato tutti il medesimo segnale: la società occidentale sembra divisa in due parti radicalmente divise in termini di idee e prospettive. Una a favore della globalizzazione, dell’innovazione e del libero mercato e l’altra votata al protezionismo, al controllo della moneta e dei confini.
Anche economie in forte crescita e proiettate al futuro come quelle del Regno Unito e degli Stati Uniti non sono riuscite a redistribuire la prosperità e le opportunità a beneficio di tutti e, anzi, hanno creato un aumento della disuguaglianza (almeno percepita) tra gruppi sociali di “ottimisti” e di “esclusi”.
In Italia questa connotazione ha assunto caratteristiche particolari, avendo il Paese solo parzialmente beneficiato dell’innovazione e del libero mercato, anche da noi riportabile alla medesima divisione tra “insider” e “outsider”. L’analisi del voto referendario ci mostra infatti una divisione netta tra comuni con buoni tassi di occupazione e scarsa disoccupazione e comuni in difficoltà. Allo stesso modo la stragrande maggioranza dei giovani, anche istruiti, hanno votato per il “No”, “contro” la generazione dei loro padri. La stessa divisione si può trovare tra regioni favorevoli al “Sì” (Toscana, Emilia-Romagna, Trentino-Alto Adige, Milano) e il Sud Italia fortemente orientato al “No”.
Si ripropone quindi in modo molto evidente questa divisione tra “insider” ultra tutelati e “outsider” in difficoltà, che le politiche degli ultimi vent’anni e il malfunzionamento del mercato non sono riuscite ad attenuare, ma che anzi in alcuni casi hanno alimentato e irrobustito. La soluzione per includere questi outsider non sembra quindi essere stata ancora trovata. Anzi, appare evidente, oggi più che mai, la limitata efficacia dell’investimento pubblico nel sistema educativo, ancora incapace da solo di garantire mobilità sociale e di rompere i forti meccanismi di protezione e di difesa corporativi.
Includere tutti, nel rispetto della libertà di mercato, è ancora la sfida principale della nostra società e il driver fondamentale per garantire crescita e stabilità economica, sociale e politica. Se le élites più sane hanno infatti sostenuto la necessità di rendere più efficienti e meritocratici la società e il mercato, non hanno però lavorato a sufficienza per garantire reali pari opportunità per tutti. Una dinamica che ha prestato il fianco a chi sostiene la necessità di governare il mercato e l’economia in modo ancora più invasivo per tutelare i più “deboli” o la stabilità (più spesa pubblica a debito). Chi scrive è radicalmente contrario a forme di protezionismo e di tendenze isolazioniste, essendo totalmente favorevole all’apertura dei mercati, all’innovazione e al rafforzamento del rapporto tra popoli ed economie. È però innegabile che se non si trovano metodi di inclusione delle fasce sociali più svantaggiate, queste possono trovare più vantaggioso tornare o restare agganciate a forme di tutele territoriali, familistiche, stataliste o - peggio - clientelari. Un mercato libero, equo e che riconosca il merito deve quindi concentrare i propri sforzi su forti misure economiche e normative che consentano la contendibilità di incarichi e benefici economici (non la rottamazione senza riconoscimento dei meriti) e la creazione di strumenti di formazione e di politiche attive del lavoro che garantiscano opportunità concrete di riqualificazione delle competenze. Pensiamo a gruppi sociali (i giovani, le donne, i lavoratori autonomi, le famiglie numerose) e territori, in particolare il Meridione, che invece sono rimasti esclusi o hanno ricevuto nella migliore occasione delle “mance” che li hanno intrappolati nel loro stato di disagio più che aiutarli ad uscirne. Un’agenda per il merito che consenta di includere tutte le fasce sociali, pur mantenendo e anzi aumentando la libertà economica e l’equità è quindi ancora più necessaria e centrale. Risulta quindi sempre più urgente creare le condizioni per uno sviluppo economico inclusivo, e per questo riteniamo sia utile proporre 5 misure iniziali per scongiurare il rischio di deserto economico e di “messicanizzazione” che si prospetta di fronte a noi:
1) No Tax per i primi cinque anni di reddito da lavoro e impresa e poi un aumento graduale della tassazione con vantaggi per le aree territoriali depresse. Non ha infatti senso che chi è appena entrato sul mercato del lavoro o ne sia appena stato espulso o abbia creato un’impresa debba caricarsi di oneri sociali prima di essere in condizione di farlo.
2) Eliminazione del vincolo di versare i contributi pensionistici all’Inps, rendendo il settore previdenziale totalmente libero e volontario. Il sistema a ripartizione avrà sicuramente grossi problemi con una misura di questo genere, ma non ha senso mantenere un’iniquità così pesante tra le generazioni in particolare a sfavore dei giovani, degli autonomi e delle donne.
3) Rilancio di un quoziente famigliare che abbassi la pressione fiscale per le famiglie numerose. La crescita e la sostenibilità della nostra società passa in buona parte da un tasso di natalità accettabile che al momento è in continua discesa.
4) Creazione di un contratto di lavoro a tutele decrescenti e applicato a tutti i contratti di lavoro, sia del pubblico che del privato. Questo consentirebbe un patto orientato alla produttività tra organizzazioni e lavoratori invece che un patto a danneggiarsi l’un l’altro.
5) Creazione di una misura universale di sostegno economico e di misure di politiche attive gestite da strutture (attenzione al flop del settore pubblico di garanzia giovani e di molti Cpi) che possono erogare contenuti formativi in grado di supportare le persone nel riposizionamento professionale in momenti di difficoltà o comunque negli inevitabili momenti di uscita dal sistema produttivo che una maggiore contendibilità potrebbe causare.
La copertura di queste misure andrebbe cercata in un aumento della fiscalità su rendite improduttive e grandi patrimoni oltre che su una riduzione del perimetro dello Stato. Cinque misure indispensabili per ridare vita ad un Paese fermo e speranza alle nuove generazioni. Un visione che serva a tenere unita una società che si continuerà a dividere tra insider e outsider se ci si affanna solamente a sperimentare qualche alchimia pasticciata di sistemi elettorali e costituzionali.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:22