“Creative Generation”  e il business di domani

Creatività ad ogni costo! Questo è quello che sembra meglio definire la generazione degli imprenditori millennial. È lo stesso millennial che pare compiacersi di questa rappresentazione ormai condivisa e che lo colloca in una nuovissima dimensione quasi ascetica in cui la propria vita ed il proprio business si trasformano in rappresentazioni-quasi performance di una presunta ed autoproclamata ricerca creativa. Il meme impazzito di una vita che rifugge apparentemente ogni classificazione canonica per collocarsi trasversalmente tra creatività e business, sino a farli derivare in modo reciproco ed anarchico.

I successi accelerati e slegati dalle regole di ingaggio tradizionali dei nuovi tech-leaders (vedi Uber, Facebook, Google) hanno risvegliato in tutti noi il sogno dell'imprenditoria. Jeff Bezos (Amazon), Mark Zuckerberg (Facebook), Larry Page e Sergey Brin (Google) sono diventati milionari sin da giovani. Oltre ad idee brillanti, conoscenze e duro lavoro, tutti loro hanno avuto sin dall’inizio un sogno: migliorare le vite degli altri attraverso i loro prodotti. Creatività, idee, startup: successo immediato. Sembra questa essere la formula che ormai domina l'immaginario di tanti millennial.

Dietro questa apparente eccezionalità, sta in realtà una verità tanto semplice quanto verificata: da almeno duemila anni l’essere umano pensa, sviluppa e conduce business! Ogni attività imprenditoriale parte da un’idea. Non si crea ciò che è già creato! Così come per la materia, anche per il business vale ricordare che nulla si crea e nulla si distrugge. Semplicemente, tutto si trasforma.

A volte però questa trasformazione va colta ed interpretata. Bisogna, per così dire, riscriverne le regole, sostituirne le variabili, modificare le prospettive dei punti di vista con un approccio che genera una parallasse generazionale affinché tutto sia più funzionale alla nuova epoca. Sta qui, forse, il grande merito dei millennial che, finalmente, possono reagire ad un sistema che li ha fagocitati e che tenta, per propria natura, di irrigidirne le articolazioni e che osano infine rinominare startup la vecchia imprenditorialità, con la causa/effetto di mettere le abilità “creative” al centro del processo. L’effetto è deflagrante, spiazzante e straordinariamente innovativo. Senza cambiare apparentemente nulla, di fatto trattasi sempre di imprenditoria, hanno cambiato tutto. Hanno reso l’imprenditorialità creativa e la cosa meravigliosa è che, ora, possono essere loro i protagonisti. Quella che appare configurarsi è una ennesima ondata industriale (la quarta, la quinta?) in cui l’approccio del nuovo manager è del tutto simile a quello di un surfer che, colta l’onda, vi si adatta e la insegue in maniera più creativa possibile. È una creatività che presuppone una grande tecnica, ma anche una certa follia ed incoscienza. Ora, la domanda da porsi è quanto veramente può rendere una tale imprenditorialità (della creatività), quanto può sopravvivere in un ambiente dove le regole dure del business frantumano il successo iniziale di tanti novizi ma anche di collaudati imprenditori? Sì, perché surfare non è da tutti, anche se tutti possono provarci!

Theodore Levitt, ex editorialista di Harvard Business Review, in più di una occasione ha sostenuto che (esplicitare) la creatività costituisce sostanzialmente un pericolo per le imprese. Levitt è arrivato anche a definire i creativi come generatori di idee compulsive la cui avversione per le realtà semplici di una vita organizzata ed organizzativa li rende incapaci di realizzare qualsiasi progetto reale. Il 12 settembre 2016, nell’edizione del Financial Times, Lucy Kellay parla della piaga della creatività che ha indotto una sorta di obbligo alla creatività, mettendo in evidenza come su LinkedIn “ci sono quasi 2 milioni di persone che si definiscono creative ed associano il termine ‘creatività’ al proprio titolo di lavoro”. Cosa potrebbe dunque salvarci dal questo non certo lusinghiero scenario apocalittico e da questa “creatività eccessiva”? Come possiamo mantenere il perfetto equilibrio tra creatività e business di successo?

È ovvio, del resto, che non può essere sufficiente percepirsi e comportarsi da creativi per essere realmente creativi nel mondo degli affari. Definire startup un proprio progetto non lo rende in automatico innovativo e non ne garantisce il successo. La scommessa affascinante degli startup ha ultimamente iniziato a risentire la crisi dell’efficienza; la mancanza della pratica e dell’educazione al lavoro, alla regola ed alla costanza (che è davvero poco creativa ma necessaria!) ha prodotto i così definiti “accelerators”, nel disperato tentativo di mettere insieme persone che possono avviare a tutti gli effetti un’attività imprenditoriale.

La chiave di ogni attività imprenditoriale resta ancora oggi l’organizzazione, la coerenza tra il mercato e la necessità effettiva di un certo prodotto e/o servizio che viene offerto. La creatività che genera l’intuizione dapprima e poi l’idea concreta del prodotto è solo il primo passo. È la scoperta e la messa a fuoco di quel sogno di prenderci cura degli altri, di migliorare un po’ il mondo, cui poi deve seguire una strategica messa a punto delle azioni da eseguire per realizzare l’idea... azioni che vanno eseguite! L’idea senza la strategia e senza l’azione non vale nulla.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:31