
Holland, diretto da Mimi Cave, è un’opera incerta che spreca un cast di alto profilo. Il lungometraggio, scritto da Andrew Sodroski, prodotto da Amazon Mgm Studios, Blossom Film e 42 Production, da ieri è visibile su Prime Video. Fra thriller, noir e satira, il film si incunea presto in un territorio narrativo inesplorato che si rivela essere una miscellanea confusa di generi cinematografici. La regista statunitense, dopo il debutto dietro la macchina da presa avvenuto nel 2022 con l’horror antropofago Fresh, firma un nuovo capitolo del suo personale percorso di disvelamento del lato oscuro del sogno americano. Holland, nel Michigan, tra tulipani, mulini a vento e costumi tradizionali dei Paesi Bassi, è una cittadina che ricorda un villaggio olandese del XVIII secolo, in cui regna il puritanesimo dei modi, il razzismo di fondo e l’ossessione del controllo. In questo contesto lindo e ordinato, all’inizio degli anni Duemila, è ambientata la storia di Nancy Vandergroot (una leziosa Nicole Kidman), insegnante di economia domestica, madre amorevole del dodicenne Henry (un attento Jude Hill) e moglie fedele dell’oculista Fred (un credibile Matthew Macfadyen). Quando Nancy comincia a sospettare che il marito possa nasconderle un segreto, temendo addirittura un tradimento, coinvolge nelle sue “indagini” il collega messicano Dave Delgado (un disorientato Gael García Bernal). Una serie di dubbi, incertezze e scoperte trasformeranno la felice esistenza borghese della donna in un autentico incubo.
Nicole Kidman torna a interpretare un ruolo quasi identico a quello a cui ha prestato il volto nel 2004 in La donna perfetta (The Stepford Wives) di Frank Oz, a sua volta remake di un film diretto da Bryan Forbes, nel 1975. L’atmosfera di Holland, volutamente lynchiana, omaggia chiaramente Velluto blu (Blue Velvet). D’altronde, l’affresco della cittadina di provincia americana dai colori pastello che nasconde il putridume sotto la superficie è stato rappresentato più volte al cinema. Il plastico a cui lavora Fred ricorda molto da vicino quello di Beetlejuice. Altre citazioni utili a contestualizzare l’opera riguardano la presenza di cellulari basici, i dvd, le sequenze di Mrs. Doubtfire in tivù e le note di No More I Love You’s di Annie Lennox accennate da Nancy. Non a caso, il racconto messo in scena di Mimi Cave è un ritratto gelido della classe media statunitense. L’unica trovata visiva, in una narrazione priva della benché minima tensione, riguarda i viaggi onirici della protagonista. Ma si tratta di idee dozzinali, viste e riviste, esteticamente banali, che travalicano ampiamente il cattivo gusto. L’esempio è dettato dal sogno di Nancy che si ritrova a camminare lungo le vie, tutte uguali, della sua città simile ai modellini del marito. Il film, che richiama una struttura apparentemente solida, in realtà denuncia presto il proprio andamento narrativo incerto e svagato. Anche le sottotrame sono appena accennate. Una su tutte è rappresentata dal personaggio interpretato da Gael Garcia Bernal: un immigrato messicano poco tollerato a Holland. Ma quel che più conta è l’intreccio principale. E, soprattutto in questo caso, emergono platealmente le ambizioni mal riposte della regista e dello sceneggiatore. Il mistero viene rivelato meccanicamente in modo del tutto implausibile. I personaggi, nonostante la durata del film non sia breve (108 minuti) non sono credibili. Anzi, risultano appena abbozzati. A questo proposito, lo sforzo encomiabile degli attori risulta purtroppo vano. In fin dei conti, il cinema di Mimi Cave appare come una copia sbiadita dei modelli illustri a cui si ispira. La sua opera seconda è un thriller presuntuoso e senza tensione. Fiacco sia nel ritmo che nella regia.
Aggiornato il 28 marzo 2025 alle ore 19:55