
Come rivisitare i Sei personaggi in cerca d’autore senza reinventarli, dato che non si può pensare di rimuovere la parte più alta del pensiero pirandelliano? Che poi, equivale a chiedersi: come costruire un teatro nel teatro (o, come si dice nelle scienze matematiche “di complessità due”), sapendo che non c’è rimedio alla cesura che separa il mortale dall’immortale? Perché, com’è noto, nel luogo della mortalità, indefinito e transeunte, si collocano gli attori fisici. Nel secondo, invece, si accomodano i personaggi i quali, una volta partoriti, o solo abbozzati nella testa del loro autore, godono di una vita propria immortale, perché indipendenti dal loro creatore che può scomparire per sempre, mentre loro non hanno scadenza. L’unico, ma sostanziale difetto del personaggio è la sua coazione a ripetere: da solo non può né reinventarsi, né cambiare pelle o veste. A meno che, appunto, non ci sia un altro autore volenteroso a farsene carico. Valerio Binasco mette così in scena al Teatro Argentina di Roma, dal 19 al 30 marzo, una sua particolare visione del più famoso, e ai suoi tempi contestatissimo, spettacolo pirandelliano dei Sei personaggi in cerca d’autore, il cui significato continua a rimanere in un cono d’ombra che chiede di non essere rimosso, perché necessita di un atto fideistico in merito alla sua verità intrinseca.
Per l’ambientazione, la regia sceglie una scenografica minimale e spoglia come l’aula di una grande palestra, che ospita lo spazio della didattica di una scuola di recitazione, in cui un direttore (Jurij Ferrini), dall’autorità carente ma pienamente empatico con i suoi allievi, tenta di mettere in scena Il giuoco delle parti dello stesso Luigi Pirandello. Anziché confondersi con il pubblico, o comparire come ombre dal proscenio, i Personaggi appaiono a sorpresa al diradarsi di uno dei tanti capannelli dei giovani attori, colti nelle più disparate situazioni competitive tra di loro, alternate ad altrettante situazioni goliardiche. Il tutto, però, destinato a spegnersi progressivamente, con l’incedere dell’incalzante e sconvolgente racconto dei nuovi ospiti imprevisti. L’originalità dell’impianto e le felici restituzioni-rivisitazioni del progetto teatrale pirandelliano da parte della regia, danno tuttavia spazio a taluni elementi di perplessità, di seguito specificati. In primis, l’utilizzo pseudo casuale dei “gros-mots”, completamente fuori luogo nel logos pirandelliano, pudico e ipercolto. Secondariamente, non giova all’insieme l’ipercinetismo un po’ troppo invasivo della figliastra prostituta (interpretata da un’instancabile, effervescente e generosissima Giordana Faggiano), prigioniera della sua sensualità disarticolata e volgare. Il tutto, perennemente accompagnato da una risata compulsiva senza bordi né limiti, che tracima come un limo, perturbando e invadendo l’intero l’arco della (auto)rappresentazione dei Personaggi.
In terzo luogo, viene sacrificato il pathos dell’atto sublimato, a vantaggio della componente voyeuristica, relativamente alla messa in scena dell’incesto consumato praticamente live. Infine, alcune forzature di ruolo, che fanno gravitare l’intero dramma esistenziale della famiglia sulla figura del padre, interpretato da un Valerio Binasco, perfetto nel ruolo, mettendo un po’ troppo di lato quello della madre (affidato a una brava Sara Bertelà). Ma, forse l’aspetto più problematico riguarda proprio il “figlio” (interpretato da Giovanni Drago), equipaggiato come un’autistica rock star, che decide di non essere mai più uno dei Personaggi, ricadendo così (volutamente?) nel paradosso di Pirandello. Per il grande maestro siciliano, infatti, i personaggi possono avere vita autonoma solo e soltanto restando se stessi per l’eternità. Ma, quando come in questo caso, cercano disperatamente un “autore” è proprio perché vogliono vivere un’altra vita, dato che una volta riscritti non saranno mai più gli stessi di prima, ma semplicemente “altri”, appartenenti all’infinita categoria dei personaggi teatrali e letterari. In merito, l’aspetto fondamentale, messo in bella evidenza nella rivisitazione di Binasco, è rappresentato dal contrasto tra gli allievi della scuola di recitazione e i Personaggi che, in buona sostanza, testimoniano l’insanabile dualismo personaggio-interprete che non potrà mai diventare un monismo. Questo perché, giustamente, il primo è immutabile, sta nel carcere a vita della parola scritta; mentre il secondo presenta, a causa della sua sostanza umana esteriore-esterna, mille e una variazioni e sfumature sul tema, in funzione del carattere, degli umori, dell’esperienza e dell’ambientazione di colui che pro tempore impersona il personaggio stesso. Insomma, un Pirandello tutto da vivere.
Aggiornato il 25 marzo 2025 alle ore 12:05