Sgarbi come D’Annunzio

Ci sono personaggi la cui grandezza va ben al di là del tempo, ben oltre la storia, probabilmente perché il loro incommensurabile genio fa sì che costoro non abbiano tempo, che siano essi stessi storia. Un fulgido esempio di quanto sopra è certamente Vittorio Sgarbi, uomo dal carattere indomito e spesso irascibile, profondamente carnale, attratto dal vizio e affascinato fatalmente dai piaceri della vita. Un esteta nel reale e più vivo significato del termine, dai gusti raffinati e preziosi, continuamente alla ricerca del perfezionismo in tutte le sue forme e perennemente sedotto dalla bellezza in tutte le sue sfavillanti sfaccettature.

Un intellettuale estremamente colto, dotato di un’intelligenza sopraffina, assolutamente unico nel suo genere, una sorta di Gabriele D’Annunzio dei giorni nostri, geniale nella sua ricercata diversità, che, proprio come il Vate, eccede sé stesso nell’intento di sopravvivere a sé stesso, a quell’esistenza straordinaria scandita da emozioni intense e ritmi forsennati, fondata su una missione che lui, energico e generoso com’è sempre stato, ha in ogni istante voluto onorare, a qualunque costo, e nonostante tutto: il tempo, la fatica, la malattia, il lento e inesorabile disfacimento della carne. Perché Sgarbi è Sgarbi, protagonista assoluto di un vivere inimitabile, patrimonio immateriale di un Paese brulicante di meraviglie che egli conosce come pochi e riconosce come nessuno, che esplora in lungo e in largo, alla continua ricerca di bellezza e di qualcosa di ancora inesplorato da poter scoprire. Un Paese che proprio non può prescindere dal genio di Sgarbi, esattamente nella maniera in cui Sgarbi non può prescindere dal “bello italiano”. Ecco perché l’Italia merita di poterlo continuare a vivere quello smisurato talento, di poterne godere dei frutti, ancora, a lungo, anche dopo Vittorio.

Proprio come un secolo or sono l’Italia del Ventennio meritava di continuare a vivere D’Annunzio anche oltre l’esistenza terrena dell’uomo, Gabriele, che, ancora oggi, continua a vivere a modo suo, inimitabilmente, esattamente come un tempo, tra le gremite stanze del suo amatissimo Vittoriale. Quel luogo, sacro per ogni profano che si rispetti e profano in tutta la sua seducente sacralità, capace come null’altro di preservare il meglio della vita, delle gesta e delle passioni del Vate, di un uomo tanto proteso al superomismo da lambire l’immortalità, sopravvissuto a sé stesso grazie al fragore delle proprie imprese e a quell’irrefrenabile necessità di vivere secondo bellezza.

Un comune denominatore che accomuna due uomini, Gabriele e Vittorio, assai diversi ma egualmente unici, così apparentemente lontani, eppure così connessi da un medesimo fil rouge che lega indissolubilmente le sorti di chi, come loro, non può che essere destinato alla bellezza perenne, all’adorazione divina e alla gloria imperitura.

Aggiornato il 21 marzo 2025 alle ore 12:31