
Pubblicate in questi giorni dal Ministero dell’Istruzione e del merito, le “Nuove indicazioni nazionali per la Scuola dell’infanzia e per il Primo ciclo di istruzione” dovrebbero entrare in vigore dall’anno scolastico 2026/2027, sostituendo quelle del 2012. Prevedono il ritorno del “latino per l’educazione linguistica” a partire dalla seconda media, il curricolo verticale per garantire la continuità educativa tra scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado, lo sviluppo delle competenze Stem, l’introduzione delle classi con metodo Montessori alla secondaria di I grado, l’aggiornamento dell’educazione civica, la scrittura manuale e la calligrafia come strumento di sviluppo del pensiero critico e riflessivo e della creatività, un’attenzione particolare a musica, arte e narrazione, il rafforzamento dello studio a memoria. È prevista anche un’integrazione prudente e critica dell’Intelligenza artificiale nella didattica, con un ruolo centrale degli insegnanti nella mediazione accompagnata da percorsi di educazione alla cittadinanza digitale per favorire un uso consapevole delle tecnologie.
Quasi in coincidenza cronologica, è stato pubblicato un Rapporto dell’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (Inapp), dal quale emerge che in Italia un adulto su quattro ha ridotte competenze cognitive, nel Sud quasi uno su due. Il 35 per cento degli italiani tra i 16 e i 65 anni ha competenze basse nella lettura e comprensione dei testi, un dato che supera di nove punti la media Ocse.
A questo punto, è evidente quali sono gli obbiettivi delle nuove indicazioni.
Il primo: contrastare la perdita della lingua italiana da parte degli italiani e dei loro figli, rilevata da tutti gli Istituti di ricerca e da chiunque legga un giornale, una tesi di laurea o ascolti un talk-show. Si chiama analfabetismo di andata e di ritorno. Significa che vedi dei segni grafici o senti dei suoni, ma non riesci a “intus-legere”, cioè non riesci a raccogliere da dentro – questo vuol dire “intelligere” – il significato che essi velano. Povertà lessicale in aumento, incapacità di connessione tra i concetti, mutismo espressivo.
Se un adolescente che prova amore, dolore, odio, rabbia, ma non ha i mezzi per dirli a se stesso – e quindi per avviarne una qualche forma di controllo e di catarsi – e per condividerli con altri, la povertà lessicale diviene penuria psichica, educativa, relazionale e può degenerare in comportamenti violenti o in depressione. Ecco perché il ritorno ai Classici, tra i quali la Bibbia, allo studio della grammatica e del Latino, a scelta, a partire dalla Seconda classe della scuola media. Nei Classici non c’è solo l’immenso giacimento delle nostre parole – pochi americani e inglesi sanno che circa il 70 per cento dei loro vocaboli è di origine latina –; c’è la fenomenologia della condizione umana perenne. Leggendo quei testi si viene educati al difficile mestiere di uomini.
Il secondo obiettivo: la costruzione della coscienza storica delle nuove generazioni. La geo-storia, proposta con l’ambizione di aprire gli occhi dei ragazzi sul mondo intero, ha finito per sciogliere eventi e luoghi in una melassa globalista, senza centro e senza periferia, nella quale uno non riesce a spiegarsi donde viene e verso dove è diretto. Una rifocalizzazione nazionale ed europea si rende necessaria. Non si fa educazione civica senza la costruzione della coscienza storica. E neppure senza quella geografica. Donde il ritorno alla Storia e alla Geografia.
(*) Tratto dall’Istituto Bruno Leoni
Aggiornato il 17 marzo 2025 alle ore 12:37