“L’uomo dei sogni”: i veri fantasmi

“Noi siamo della stessa stoffa di cui sono fatti i sogni”, disse il mago Prospero in un passaggio topico della Tempesta di William ShakespeareL’uomo dei sogni (in scena alla Sala Umberto di Roma, fino al 16 marzo) ha molto a che fare con questa massima shakespeariana, anche se il punto vero di partenza è il termine neuropsichiatrico di parasonnia, un disturbo del sonno e del risveglio associato a movimenti, percezioni e sogni del tutto innaturali e indesiderati. Lo spettacolo, bello e divertente, scritto e diretto da Antonio Rappa, si concentra sulla vita sedentaria e reclusa di Giovanni (un bravo Nicola Pannelli). Un sognatore parasonniaco poltronista che, nella vita quotidiana, è un famoso vignettista depresso e mancato suicida, mentre sua figlia Viola (Elisabetta Mazzullo) è una montatrice cinematografica di successo, impegnata in Nuova Zelanda per le riprese di un film, rimasta incinta dopo una relazione non si sa quanto breve e casuale. Coronano il tutto due interessanti personaggi multiruolo altrettanto bravi, impersonati da Andrea Di Casa (Guido, il socio di Giovanni; l’uomo nero-bianco della figura onirica persecutoria; lo psichiatra di Giovanni) e da Elisa Di Eusanio (la poliziotta; l’incubo al femminile; il fantasma del Monaco), maestri nel cambio delle voci soprattutto nelle fasi di transizione sogno-realtà.

Il termine trans-lucere (il lasciar passare un’immagine più o meno distinta) traduce bene la misura teatrale intelligente con cui un fenomeno percettivo transita dal fantasmatico al reale e al surreale, soprattutto negli episodi di traslazione tra i vari fenomeni. Non per nulla, il suo autore-vittima è un fantasista della matita colorata, colui che pensa e disegna storie fantastiche nelle strisce, ma senza mai saperle concludere. Ed è proprio il meccanismo societario e impari a costituire il cardine sul quale ruotano gli incubi del protagonista. Perché è Giovanni, infatti, a svolgere il 90 per cento di tutta la fatica grafica, mentre Guido, il suo socio in affari, scarso in fantasia e poco dotato in disegno, beneficiario di un contratto societario con la Marvel, si occupa del restante 10percento del lavoro, indispensabile per la chiusura delle storie ideate da Giovanni. Ora, sarà proprio la separazione traumatica tra i due a mettere fine agli incubi del sognatore protagonista, rendendo così disoccupata la coppia di manager che, associati in un sindacato ad hoc, governano le apparizioni dei vari fantasmi, assegnando loro un peso specifico e uno dei due segni Male-Bene (uomo nero-bianco) con cui si dovranno presentare al loro sognatore.

Insomma, un continuo miscelarsi di conscio-inconscio, in cui tutti i senzienti si riconoscono e ne sono afflitti. Il tutto accade come se ognuno di noi godesse (ma Sigmund Freud non si sarebbe meravigliato) di un Olimpo assolutamente personalizzato, popolato densamente di divinità buone e cattive, alle quali si associano (come il gatto nero che si chiama Bianco di Giovanni) varie figure animali, che assumono nei peggiori incubi sembianti umanoidi e deformi. Tecnicamente, sugli aspetti nevrotici e psichiatrici agiscono due fattori a rimedio: la stampella dei farmaci (che poi è una fisarmonica di aumenta-riduci) e la rimozione progressiva delle solitudini affettive e dei solipsismi. Come accade nel caso di Giovanni, che consuma le sue depressioni chiuso in casa, privando i suoi allievi, iscritti paganti ai corsi di cartoonist, della sua geniale capacità di trasmettere skill e passione per l’arte. Mentre la figlia Viola prova l’assalto alla Bastiglia paterna, tentando in tutti i modi di trapassare con i suoi dolori e drammi il guscio egotico, spesso e insensibile, di suo padre. Ed è lei, la figlia trascurata, a interrompere il suo prezioso lavoro, tornando in Italia dopo una giornata di volo, per accudire un padre aspirante suicida, per poi metterlo in contatto indiretto con un affetto possibile di donna in gamba e matura, in alternativa a una moglie e madre scomparsa e mai abbastanza compianta.

Quanto può influire l’esperienza e l’entusiasmo contagioso del proprio padre, affinché una figlia super impegnata nella carriera accetti anche il ruolo impegnativo di ragazza madre? E quale spinta emotiva servirà ad aprirsi a un nuovo amore, se non quella di saper leggere gli infiniti messaggi che le onde del mare rimandano al proprio contemplatore di turno? Possono, infine, i burattinai degli incubi favorire un felice epilogo? Lo sfogo della tempesta, in fondo, non si traduce-transluce sempre in raggio di sole? Spettacolo imperdibile.

(*) Le foto sono di Achille Lepera

Aggiornato il 13 marzo 2025 alle ore 10:22