“Il seme del fico sacro”: le radici dell’antifondamentalismo

“Bontà divina!”. Così si esprimevano i nostri nonni quando volevano mostrare un’espressione di grande meraviglia. Niente di più adatto, volendo riallocare un simile linguaggio per descrivere dall’interno la culla scossa della più grande teocrazia del XX e del XXI secolo: quella dell’Iran khomeinista. Che, in vista della sua inesorabile fine come flagello dell’umanità, custodisce al suo interno il seme del fico sacro, quello che cade sui rami di altri alberi e poi, germogliando, fa scendere le proprie radici verso il terreno, affinché il fico sacro, reggendosi sul suo tronco, strangoli progressivamente con i suoi rami l’albero ospite. Va oltre la suddetta metafora, citandola nel titolo, la storia narrata nel film Il seme del fico sacro (in uscita nelle sale italiane dal 20 febbraio, distribuito da Lucky Red e da Bim Distribuzione) del regista Mohammad Rasoulof, di cui si ricorda Il male non esiste, nel quale, a partire dalla crisi di un boia stipendiato dal regime, si denunciavano le esecuzioni arbitrarie in carcere dei dissidenti politici iraniani. In Iran, dice Rasoulof, il fico sacro è la forza delle donne, perché è da loro stesse che germoglia il seme della rivolta, destinato con progressione lenta ma inarrestabile nel tempo a divenire l’albero dai frutti dolci, che strangolerà il tronco possente del fondamentalismo religioso, liberticida, fanatico e misogino. Anche prendendo finalmente le armi per la propria autodifesa, visto che le proteste pacifiche vengono represse in un bagno di sangue.

Perché oggi l’Iran che intende liberarsi dalle catene teocratiche degli ayatollah è una nazione civile disarmata, che può solo offrire il petto, gli occhi e la vita alla furia iconoclasta della polizia religiosa e politica super armata, con licenza di uccidere manifestanti inermi e indifesi. Soprattutto giovani, adolescenti e donne, in particolare, che si vogliono liberare dal giogo sottile, leggero e perverso del velo, simbolo del potere degli uomini e dei religiosi che, in ossequio all’Islam delle origini, li autorizzano a praticare lo schiavismo sull’altra metà del cielo di mogli, figlie e sorelle. Così, chi manifesta contro il regime ha solo diritti negativi da esigere, come la carcerazione preventiva senza processo, né difesa legale, preceduta dalla violenza spietata e organizzata delle forze antisommossa. Divise nere dello Stato, queste ultime, che scendono come lupi nelle strade e si precipitano come furie sulle piazze, in cui si svolgono le manifestazioni spontanee e non autorizzate anti regime, organizzate via social e senza preavviso. Uomini che servono una legge oscura questi pasdaran, e colpiscono in gruppo, freneticamente, chi è già disteso a terra, incuranti delle urla di terrore, del sangue giovane che scorre dalle fronti e dagli occhi resi ciechi dai pallini da caccia, sordi alle offerte di resa di quelli che non sono più in grado di reagire.

Il (bel) film iraniano Il seme del fico sacro è una sorta di struttura articolata per sfere concentriche, in cui la più minuscola, quasi impercettibile, contiene l’ampolla del seme collettivo del fico sacro, mentre la più esterna mostra il sacrificio drammatico delle giovani generazioni (soprattutto donne e ragazze), perseguitate e annientate dal regime, così come documentato dal vivo dagli innumerevoli video postati sui social network mondiali, ripresi integralmente e senza commento nel film di Rasoulof. Le shell intermedie, invece, sono costruite su di una contrapposizione intergenerazionale fortissima tra tre donne, una moglie e due giovani figlie, una universitaria e l’altra liceale, contrapposte a un padre-padrone che ha fatto carriera nei tribunali islamici iraniani, diventando assistente procuratore, cosa che, oltre a evidenti gratificazioni economiche, ne ha elevato il rango e lo status sociale. Lui, con la sua dottrina intollerante, contrapposta solo in debole parte al suo carattere di uomo onesto, sta sulla sfera più rigida, incomprimibile, in cui ogni libertà e distanziamento dalla dottrina e dai precetti islamici debbono essere duramente repressi e puniti. Come le manifestazioni non autorizzate di piazza contro il regime fondamentalista, di cui lui è il più feroce e convinto guardiano. In quanto giudice ossequioso, fazioso e autoritario non si accorge del seme del fico sacro che ha già messo a terra le sue radici nella sua stessa casa, attraverso le prese di posizione delle figlie dissidenti, che partecipano alle proteste per l’uccisione da parte della polizia religiosa di Mahsa Amini, picchiata a morte perché indossava il velo in modo scorretto.

Sarà solo la lungimiranza di sua moglie, che agisce da donna molto più presente e sensibile di suo marito, messa all’angolo al pari di tutte le altre e ridotta al ruolo ancillare dal suo padre-padrone, ad aprire all’Occidente una drammatica finestra sulla società ultrarepressiva del mondo islamico iraniano, facendo leva sulla sofferenza delle proprie figlie e delle loro sfortunate compagne di battaglia. Come accade nel caso dell’amica universitaria della più grande, da lei soccorsa in segreto con la complicità materna, per estrarre dal suo occhio ferito decine di pallini da caccia, sparati da uomini incappucciati, che l’hanno accecata e menomata per sempre. Ma sarà proprio la scomparsa nella sua stessa abitazione di una pistola in dotazione, che il giudice-padre deve portarsi dietro per autodifesa, ad avviare un tremendo processo di disgregazione interna al suo nucleo familiare, che condurrà il tirannico pater familias alla sua autodistruzione. Film imperdibile.

Voto: 9

Aggiornato il 18 febbraio 2025 alle ore 13:17