“Emilia Pérez” e il cartello arcobaleno

Emilia Pérez, opera del regista francese Jacques Audiard, è la pellicola che per l’edizione 2025 dei Premi Oscar ha avuto il numero più alto di candidature, ben 13, e ha ottenuto anche le nomination più importanti (miglior film, miglior regista, miglior sceneggiatura non originale e miglior attrice). A gennaio ha vinto anche quattro Golden Globe. Si tratta di un film che va a inserirsi in modo coerente nel grottesco vortice del woke che sta condizionando e plasmando l’arte cinematografica degli ultimi anni. È la prima volta che agli Oscar concorrono due film che presentano personaggi queer, arcobaleno, fluidi. Conclave, film di Edward Berger di cui ho già analizzato le sfumature paradossali, si conclude con l’elezione di un pontefice intersesessuale. Emilia Pérez, invece, presenta la storia di Juan “Manitas” Del Monte, boss di un potente cartello messicano, che decide di cambiare sesso per diventare donna e per questo processo si fa aiutare da una praticante avvocata. È un film che, al di là della trama più inverosimile che si possa immaginare, presenta aspetti piacevoli e artisticamente interessanti.

È un musical (genere tanto caro agli arcobaleno) che ci proietta in modo ora poetico, ora prepotente, nel complesso scenario di Città del Messico e di altre località dello Stato centro-americano. La fotografia di Paul Guilhaume è potente, e passa velocemente dallo scintillio delle fantascientifiche cliniche thailandesi alle nebbie cube della giungla dove si nasconde il boss (doppiato da Vladimir Luxuria). Le canzoni, attraverso cui ogni personaggio ci racconta la sua esistenza, in alcuni casi sono addirittura (pateticamente) commoventi: non ci vuole tanto, comunque, a stimolare il pianto. Tutti si commuoverebbero a vedere un pericoloso criminale che si piange addosso perché non vive la vita che ha sempre voluto (dalla carriera nel narcotraffico sino al matrimonio con una ragazza al limite dell’insignificante, interpretata in modo dozzinale da Selena Gomez). Dopo quattro anni dagli interventi per il cambio di genere, il boss è ormai Emilia Pérez. Durante una cena a Londra incontra l’avvocata che l’aveva aiutata (che comunque si è fatta riempire le tasche di milioni) e da lì inizia la degenerazione: Manitas/Emilia vuole riportare i figli e la (ex) moglie, nascosti in Svizzera, in Messico, dove si finge una cugina del boss.

Emilia, colpita dalla storia di una donna che va in giro per la città distribuendo la foto del figlio scomparso anni prima e probabilmente ucciso da qualche cartello, decide di fondare un’associazione che si occupa proprio di ritrovare migliaia di desaparecidos. Poi tutto un vortice di follia porta alla conclusione, dove – durante un conflitto a fuoco – Manitas-Emilia si rivela all’ex moglie, che l’aveva rapita insieme a un altro uomo per farsi pagare un cospicuo riscatto dall’avvocata. Come per Conlave, da un certo momento in poi il film si fa così veloce che al pubblico viene imposta la passività più assoluta. In Conclave abbiamo i cardinali conservatori che sono i cattivi, e i porporati progressisti che sono i salvatori della Chiesa e dell’umanità. In Emilia Pérez gli uomini sono cattivi e le donne buone.

In più, quest’ultimo film, è ancora più inquietante perché sfrutta le vittime dei cartelli per aumentare il livello di coinvolgimento emotivo, senza però affrontare nemmeno minimamente il problema. Inoltre, mette continuamente i messicani in cattiva luce (presentandoli come xenofobi e inclini a dissolutezze e violenza senza fine). Ancora una volta il cinema dell’inclusione ci offre un film patetico e irritante. L’attrice transgender protagonista, Karla Sofía Gascón, è finita al centro di alcune polemiche poiché – in seguito alla sua candidatura all’Oscar – sono riemersi post dove definiva l’Islam come “un’infezione per l’umanità” e la stessa cerimonia degli Academy Awards come un “festival afro-coreano”. A quanto pare l’inclusione è una dittatura a senso unico. Sono però fiducioso: dopo un papa e un boss trans (entrambi sudamericani) penso sia difficile pensare a qualcosa di ancora più grottesco.

Aggiornato il 18 febbraio 2025 alle ore 13:04