Baby Reindeer, la miniserie tivù di Netflix, non è “una storia vera”. Lo ha stabilito qualche giorno fa un giudice di un tribunale distrettuale della California. Ora, Fiona Harvey, la presunta stalker che avrebbe ispirato il personaggio di Martha (sullo schermo ha il volto della magistrale Jessica Dunning), può procedere contro la piattaforma per diffamazione. Harvey ha fatto causa a Netflix lo scorso giugno, sostenendo che il progetto televisivo avesse diffuso falsità sul suo conto, rappresentandola come una criminale condannata per stalking, quando, in realtà, lei non lo è mai stata. Harvey ha anche fatto causa per violazione della privacy e negligenza, ma queste accuse sono state archiviate. Al di là della cronaca giudiziaria, Baby Reindeer, cadenzata in sette, imperdibili episodi, scritta e interpretata dal 35enne Richard Gadd, prodotta da Matthew Mulot per Clerkenwell Films, è una miniserie diretta da Weronika Tofilska e Josephine Bornebusch e basata sul one man show e sulla esperienza di vita reale di Gadd. Il racconto televisivo ha vinto tre Emmy Awards, per la Miglior miniserie, Miglior sceneggiatura, Miglior attore protagonista in una miniserie e Miglior attrice non protagonista in una miniserie.
Un racconto magnetico che narra il viaggio doloroso e beffardo di un antieroe. Tra abusi, droghe e crudeli umiliazioni, la miniserie sardonica segue le disavventure lavorative, sentimentali e sessuali di Donny Dunn (lo stesso strepitoso Gadd), un aspirante comico scozzese che lavora come barista in un pub londinese. Le vicende mostrate prendono il via quando un giorno il giovane offre un tè a una cliente, Martha (Dunning), per tirarla su di morale. La donna si presenta come avvocato di successo, eppure non ha soldi in tasca. Da quel momento, Martha sviluppa una vera e propria ossessione nei confronti del ragazzo, arrivando a molestarlo sia al pub che online. Addirittura assiste agli sfortunati spettacoli di Donny, arrivando a molestare la bella Teri (una dolente Nava Mau), la donna transgender di cui Donny si è invaghito. Paradossalmente lo stalking perpetrato da Martha costituisce per Donny un antidoto al proprio slancio autolesionistico. Eppure, la situazione, sempre più oppressiva, coinvolge anche la famiglia di Donny e costringe il giovane ad affrontare, senza più esitazioni, un trauma profondo. Anni prima, infatti, Donny avvia una pericolosa relazione con lo scrittore televisivo Darrien O’Connor (un ombroso Tom Goodman-Hill). L’autore 56enne inizia Donny all’uso sistematico di sostanze stupefacenti e gli offre consigli, suggerimenti sui testi e sulla carriera, promettendo eccezionali opportunità che si rivelano presto utopistiche.
L’interpretazione degli attori, la forza dinamica del montaggio, i nevrotici movimenti di macchina, l’efficacia della colonna sonora (di Evgenij Gal’perin e Saša Gal’perin), sono i tratti distintivi di un’opera chiamata a raccontare, in maniera credibile, l’ascesa e caduta di un uomo qualunque. Baby Reindeer è una narrazione perturbante che ammalia, sconcerta e sconforta. Una miniserie avvincente che procura angoscia, pena, imbarazzo. Numerosi e contradditori sentimenti che svolgono una funzione catarticamente emblematica. Richard Gadd si mostra senza infingimenti. Senza mediazioni. Con sincerità estrema. Autocritica. Autodistruttiva. Poco importa se la storia messa in scena non sia tutta vera. Quel che conta è la verità di cui è intrisa Baby Reindeer. Un’opera d’arte destabilizzante che rivela verità inconfessabili. Una discesa agli inferi di uomo che crede di essere il protagonista assoluto della propria esistenza e, invece, scopre di dipendere, inestricabilmente dal giudizio degli altri. Siano essi spettatori, amanti, pigmalioni. Il racconto, caratterizzato da un ritmo incalzante e da un nichilismo bruciante, non cade mai nel pietismo. La miniserie è un ottovolante di emozioni. In bilico perenne tra ferocia e redenzione.
Aggiornato il 04 ottobre 2024 alle ore 18:51