Visioni. “The Gentlemen”, una serie tivù che non convince

La serie tivù The Gentlemen rappresenta la summa della poetica di Guy Ritchie. Nel bene e nel male. Il progetto televisivo è lo spin-off dell’omonimo film del regista inglese uscito su Prime Video e interpretato nel 2019 dal premio Oscar Matthew McConaughey e da Colin Farrell. Nella serie targata Netflix, dal 7 marzo in streaming, tutti i gentlemen sono criminali. E, spesso, i criminali si atteggiano a gentlemen. Tra i protagonisti del nuovo racconto emergono il duca EdwardEddie” Horniman (il serafico Theo James), e i narcotrafficanti Susie Glass (la spietata Kaya Scodelario) e Stanley Johnston (il mefistofelico Giancarlo Esposito), in un thriller d’azione fin troppo verboso, attraversato da striature grottesche. La storia prende le mosse in Siria. Al confine con la Turchia opera Edward Eddie” Horniman, militare Onu, che viene chiamato al capezzale del padre (Edward Fox). Alla lettura del testamento, dopo la morte del genitore di cui è in realtà il secondogenito, eredita inaspettatamente una tenuta di 15mila acri (6mila ettari) e il titolo di duca di Halstead. La novità esaspera l’eccentrico fratello Frederick “Freddy” Horniman (un pirotecnico Daniel Ings). Ma la scoperta che cambierà l’esistenza di “Eddie” riguarda l’attività sotterranea praticata nella tenuta. Infatti, la proprietà familiare nella campagna inglese è diventata parte di un impero criminale, basato sulla coltivazione di marijuana, gestito da Susie Glass, figlia del boss del narcotraffico britannico Bobby Glass (un mellifluo Ray Winstone), detenuto in una prigione dorata. “Eddie” dovrà sopravvivere in un mondo pieno di pericolosi e sanguinari personaggi, cercando di proteggere la tenuta e la bizzarra famiglia.

Colpisce un aspetto della storia che avrebbe meritato una migliore e più attenta trattazione. Il sentimento di amore-odio che governa il rapporto tra i fratelli aristocratici “Eddie” e “Freddy” è il medesimo che intercorre tra i fratelli mafiosi “Fredo” (John Cazale) e Michael (Al Pacino) nel Padrino e nel Padrino Parte II. Un’ingiusta subalternità (e dipendenza) che il fratello maggiore imputa tragicamente al fratello minore. Un omaggio al capolavoro di Francis Ford Coppola su cui Ritchie avrebbe dovuto puntare con maggiore convinzione. In realtà, il regista si diverte moltissimo a declinare in serie il suo film del 2019. Rappresenta le disavventure di un nobile costretto a rimediare agli errori capitali del fratello, che si allea con trafficanti di cannabis in un continuo contrasto tra chic e Kitsch, presunta raffinatezza e ultraviolenza. Ma l’ironia del buon dittico sul celebre investigatore nato dalla penna dell’autore scozzese Sir Arthur Conan Doyle (Sherlock Holmes, 2009; Sherlock Holmes: A Game of Shadows, 2011) è ben lontana da The Gentlemen. Ritchie torna alle origini: alla storia criminale. Ma non convince. Pur mettendo in scena i suoi archetipi narrativi preferiti e i suoi tipici personaggi legati al sottobosco criminale londinese, purtroppo, la serie finisce nella propria morsa, avvitandosi su sé stessa, con evidente perdita del ritmo narrativo. Ritchie conferisce alla serie un compiaciuto fascino decadente. Ma le raffinate ambientazioni sono permeate da plateali incursioni nel cattivo gusto. Se l’incipit del racconto promette avvincenti sviluppi, la narrazione complessiva si abbandona presto a eccessivi colpi di scena e snervanti cambi di posizione. The Gentlemen è puro intrattenimento. Non c’è passione per l’universo rappresentato, manca un’attenta analisi del fenomeno criminale, è assente la caratterizzazione dei personaggi. L’invettiva antiaristocratica del regista, per quanto ampiamente condivisibile, risulta più raccontata che rappresentata. È un errore imperdonabile.  

Aggiornato il 14 giugno 2024 alle ore 19:26