“Tatami”: come ti stendo il regime

“Io sono colei che crede in Allah e nella Vittoria!”. In apparenza, nulla quaestio, sembrerebbe, vedendo l’inizio del bel film Tatami (che è il tappeto sintetico su cui si svolgono gli incontri di Judo), diretto dall’iraniana Zar Amir Ebrahimi e dall’israeliano Guy Nattiv. E invece no. Soprattutto se ti chiami Leila (Arienne Mandi), una judoka di fama mondiale, allenata da una coach altrettanto straordinaria e mitica come Maryam (Zar Amir Ebrahimi), e sei sul punto di vincere la prima medaglia d’oro per l’Iran ai campionati mondiali di Judo. Sennonché, più tu vinci gli incontri a eliminazione diretta, più si fa concreto uno scontro tra te, campionessa iraniana in carica, e “l’occupante”, con ciò intendendosi l’atleta israeliana che partecipa al campionato. E allora, il rappresentante supremo dell’Iran teocratico dice che, nel nome di Allah, questo non può e non deve accadere. Per cui l’incontro con l’infedele sionista non si può fare. Sia mai detto che l’ebrea esca vittoriosa dal confronto diretto, sancendo la vittoria della miscredente sulla serva di Allah. Allora, l’imperativo dall’alto è: fingere un incidente, dichiarare forfait e rientrare in Patria. Così come a suo tempo accadde alla stessa coach Maryam, fermata per ragioni simili dal potere di chi comanda a Teheran, e di conseguenza obbligata a fingere una frattura alla gamba (sanissima), mentre era proiettata verso la vittoria finale. E poiché al potere interessano soltanto i simboli e per nulla le persone, le loro ambizioni e i loro sogni, ecco che su Leila si scatenano i demoni della persecuzione, con telefonini che fingono un selfie e invece trasmettono il volto terreo e spaventato del padre disperato di Leila, sequestrato dalla polizia politico-religiosa, con l’uomo che la supplica di rinunciare.

Tutti i parenti dell’atleta, a quel punto, sono direttamente minacciati, imprigionati e sequestrati nel tentativo di farla cedere, mentre anche Maryam subisce la stessa sorte per non essere riuscita a imporre il ritiro alla sua più famosa rappresentante. Nella congestione delle cronache dei combattimenti vittoriosi di Leila, che non demorde e continua la sua gara, avendo ricevuto assicurazioni che marito e figlio sono riusciti a mettersi in salvo, si sfila l’ombra cupa del potere che sfrutta le complicità interne all’organizzazione del campionato. Arrivando persino, attraverso i suoi emissari, a minacciare e a fare pressioni direttamente su atleta e coach, con ogni genere di lusinghe e di ricatti. Arrivata ai Quarti di finale, Leila deve essere curata per autolesionismo dal medico di gara, mentre l’organizzazione dei giochi si stringe attorno a lei con un cordone di sicurezza e di solidarietà sempre molto discreti, vista la posta politica in gioco di cui Leila è vittima incolpevole. Ma non si può essere vincenti ed eroi allo stesso tempo, evidentemente, perché chi va verso la finale deve concentrarsi solo su se stesso, mettendo tutte le proprie forze al servizio dello sport, e non per consumarle nel terrore che viene dal mondo di fuori, aumentandone lo stress fino al punto di rottura e costringerla così, per mancanza di concentrazione, a cedere il passo a un’avversaria decisamente battibile in condizioni normali.

Quando Leila perde fisicamente la sua gara, fa il gesto rivoluzionario per un’iraniana di togliersi il velo, restando con i bellissimi capelli sciolti dinnanzi alle telecamere di tutto il mondo. Massimo insulto per un regime teocratico che impone a tutte le donne l’obbligo di un rigidissimo “dress coding”, per la cui violazione si rischia la condanna a morte per percosse dalla polizia morale. Mai come in questo caso, l’abbandono e la fuga dal proprio Paese diventano l’unica scelta, un percorso obbligato che passa attraverso il diritto d’asilo. L’unico modo, quest’ultimo, per guadagnare la libertà, dono fin troppo scontato in Occidente, e continuare a inseguire il proprio grande sogno di atleta che ha diritto alla vittoria finale, per semplice merito sportivo. E sarà proprio la forza atletica a garantire anche a Maryam, attraverso una corsa a perdifiato, di continuare a vivere e ad allenare per il resto della vita la sua campionessa Leila, per dare assieme a lei un sogno e una speranza a tutte le donne del loro Paese, perché un giorno non abbiano bisogno di rinnegare le proprie origini per diventare libere cittadine del mondo.

Voto: 8,5/10

Aggiornato il 10 aprile 2024 alle ore 12:49