Visioni. “Povere creature!”, una favola gotica sul libero arbitrio

Povere creature! (Poor Things) è una rilettura comico-grottesca del mito letterario di Frankenstein. Il film di Yorgos Lanthimos ha ricevuto il consenso di gran parte della critica e ha vinto il Leone d’oro all’80ª Mostra del cinema di Venezia e quattro premi Oscar: Miglior attrice a Emma Stone; Miglior scenografia a James Price, Shona Heath e Zsuzsa Mihalek; Migliori costumi a Holly Waddington; Miglior trucco e acconciatura a Nadia Stacey, Mark Coulier e Josh Weston. L’opera numero otto del cineasta greco (un adattamento dell’omonimo romanzo del 1992 scritto da Alasdair Gray), distribuita in sala dal 25 gennaio grazie a The Walt Disney Company Italia, da ieri è visibile in streaming su Disney+. Il film pluripremiato racconta la storia di Victoria/Bella Baxter (una sarcastica Emma Stone), giovane donna incinta che si suicida. Viene riportata in vita dal dottor Godwin “God” Baxter (un mimetico Willem Dafoe). Il medico dal volto sfigurato, vittima anche di menomazioni fisiche, crede in una personale interpretazione del progresso scientifico, per quanto corroborato da discutibili pratiche chirurgiche. L’uomo trapianta il cervello del feto morto nella testa della madre. Così per Victoria, ora Bella, si inaugura una nuova esistenza.

Il suo percorso di alfabetizzazione cognitiva e sessuale comincia, prosegue e si compie rapidamente. La donna impara, conosce e fugge dall’antro paterno e decide di seguire il viaggio europeo del fascinoso avventuriero Duncan Wedderburn (un autoironico Mark Ruffalo). La donna bambina è costantemente affamata. Il suo sguardo, pervaso da energia primigenia, non segue le regole della società. Come i lattanti, Bella non conosce vergogna. Ma solo curiosità. E, personificazione femminile del Candido voltairiano, professa un innaturale ottimismo della volontà. Il film è una favola gotico-fantascientifica divisa in capitoli, governata da una sovraeccitata estetica distopico-vittoriana che si traduce (attraverso la fotografia di Robbie Ryan), ora nell’elegante bianco e nero delle atmosfere cupe del primo James Whale, ora nei colori saturi pastello di una coloratissima Lisbona postmoderna. Bella alterna abilmente parole e atteggiamenti sboccati a raffinate analisi filosofiche e sociopolitiche che rasentano un mero intellettualismo. Ma la donna, in apparenza indolente, è capace anche di impetuosi slanci emotivi. Eppure, il suo profilo di proto-femminista si riduce a messaggio di mera autodeterminazione.

L’afflato poetico di Lanthimos enuncia una premessa drammatica dichiarata sin dall’inizio della narrazione. Il film è una riflessione sull’imprescindibile libero arbitrio. Altro elemento di valutazione dirimente è la mostruosità che fa rima con l’ironia, persino con la comicità. Il bersaglio della denuncia è il tragicomico campionario maschile che mette alla berlina. Il compiaciuto nichilismo del Sacrificio del cervo sacro (The Killing of a Sacred Deer, 2017) è lontanissimo dalla messa in scena di Povere creature! Tuttavia, anche se il film rappresenta, insieme a La favorita (The Favourite, 2018) una sorta di dittico sulla condizione femminile nei secoli, dopo la visione, s’insinua il sospetto che il nuovo lungometraggio del regista greco sia, in realtà, un lussuoso e sardonico esercizio di stile. Una lente distorta che segue un esperimento cinematografico etico-estetico carico di dissonanti suggestioni pittoriche.

Aggiornato il 15 marzo 2024 alle ore 19:39