Le mattinate dell’eterna potenzialità di Patricia Highsmith

Molto interessante la scrittrice texana Patricia Highsmith. Il suo libro più famoso qui, in Europa, è quello da cui è stato tratto il bellissimo film Il talento di Mr. Ripley. Libro che fa parte di una saga riguardanti le vicende di Mr. Ripley, e che ha portato la Highsmith al successo. Meno conosciuti sono i suoi testi “minori”, tra cui Donne che, nella bella edizione de La nave di Teseo, riporta sul retro alcune foto della Highsmith scattate fuori dall’università (“Pat Highsmith-all photos at age 21 just out of University”).

Ho la netta sensazione che l’utilizzo dei social, la loro consultazione, abbia davvero reso più arduo riflettere sui testi, pur interessanti come questo, per lungo tempo. Leggere è un piacere ma Internet, cui si deve un gratissimo sentito plauso, avendo cambiato le nostre vite in meglio, ha comunque reso meno facile una lettura paziente, il suo assaporarsi e anche la conoscenza che deriva dal testo scritto sui libri. Tempo fa era più facile dedicarvisi. Donne è forse il libro più intimo della Highsmith, che sembra parli di sé quando un suo personaggio dice “non solo solo, quanto piuttosto terribilmente solitario”.

Scrittrice arguta, affatto scontata, “incuriosente” (desta curiosità, incuriosisce), interessa il suo punto di vista tra gli anni Quaranta e Cinquanta del secolo scorso negli Stati Uniti d’America. È una americana che sente fortissimo il richiamo verso l’Europa, verso la nostra bellezza. Donne non sono solo storie di donne. I racconti che contiene hanno in comune, come nei film, le vite delle persone. Vite che sono per lo più faticose da vivere, e come sono vissute.

C’è la fatica di vivere nei personaggi della Highsmith. Ciò deriva un po’ dalla vita stessa e dalle sue condizioni ma, anche e sopratutto, dalle altre persone che circondano gli uomini e le donne su cui la Highsmith – “Pat” – accende un “faro” di indagine, e allo stesso tempo, di luce. Si tratta di esistenze che scorrono o meglio arrancano in maniera faticosa, in cui, tuttavia, c’è un qualcosa che le rende diverse. Il loro denominatore comune è una ricerca, che non si fatica ad attribuire alla vita stessa della Highsmith, di libertà e di essenza di vita diversa e migliore. Una ricerca di bellezza e soprattutto di vera felicità.

I personaggi di Highsmith cercano la felicità. Come lei. Fuggono, se ne vanno, abbandonano, vengono scartati, tentano di creare e creano dei propri personali “paradisi” di vita, di interessi, di luoghi altri, e di situazioni, in cerca di altro da quel sé che sono, affrancandosi dal contingente, dalla quotidianità, che è scalognata e brutta, essenzialmente brutta. Il mio cuore è rimasto “incastrato” nel racconto che ha per titolo Mattinate radiose in cui al protagonista “felicità, buona volontà e ottimismo sembravano sprigionarsi dal suolo, dandogli sollievo”. È la storia di un taxista che lascia la città caotica e se ne va in un paesino sconosciuto, dove godere del proprio tempo, della natura, della salute e della bellezza (tutto ciò, in questa sua nuova “prospettiva” di vita, gli pare bellissimo). C’è la forza del desiderio di Highsmith di cogliere un’altra dimensione “di possibilità” della propria vita: “Le mattinate dell’eterna potenzialità e dell’eterno nulla”. E la disillusone o, peggio, la rottura dall’esterno del sogno che si avvera, da parte della società che rappresenta tutte le società possibili esistenti.

Il senso di colpevolezza e di responsabilità, la “sua misteriosa colpa”, “qualcosa su cui non casca alcun controllo, che non avrebbe mai potuto afferrare e allontanare da sé”. Patricia Highsmith parla al lettore e ci dice, in un altro racconto dal titolo Mrs Afton, tra i tuoi verdi declivi, che “era un peccato che una donna destinata alla felicità e preparata a goderla, finisse insieme a un uomo che vi aveva rinunciato”. Ed ecco che descrive chi è intrappolato nel “regno della realtà”, non essendo una “persona che si è staccata dai suoi oggetti personali, dalle sue abitudini, dai suoi momenti di solitudine” (“allora dov’è”? Che cos’è? Si chiede “Pat”). Una persona che abbia “la singolare ma non spiacevole sensazione d’essere un granellino di polvere che fluttua nello spazio. Che avverte un’insolita libertà e una grande mobilità che sembrano potenziare la sua visione delle cose, persino il suo godimento degli oggetti”. Quel qualcuno o qualcosa “nuovo” “il cui rapportarsi alle cose è stato scombussolato. O magari la spiegazione è nella misteriosa scomparsa del tempo”.

Eccolo qui l’irretito dalla quotidianità della vita inutile: “Il lavoro gli aveva logorato i nervi: la folla pressante, il continuo cambiare marcia, fermarsi e ripartire, gli orari da rispettare, lo schivare pedoni… tutto ciò lo faceva sussultare nel sonno, di notte, così beveva per calmare i nervi. Beveva per arrivare a quella tranquillità che lei trovava nel giardino pubblico”. “Non era più capace di starsene seduto, immobile, in nessun posto… non gli era rimasta l’energia sufficiente. Immaginò che se lui avesse potuto immergersi nella tranquillità, berla ed odiarla, vederla e respirarla, dormire in essa per ore, forse la sua fronte si sarebbe distesa; avrebbe riaperto gli occhi e l’avrebbe guardata come se l’amasse”.

Ed ecco che, in Le finestre magiche, “l’ingenua speranza di liberarsi dalla noia, che di tanto in tanto faceva capolino dalla sua spossatezza, lo affrontò apertamente, come un bambino imprigionato ma ancora pieno di vita che gridasse: Che cosa hai fatto di me? Che cosa intendi fare?”.

Non riuscendo a fare il “salto quantico” della propria vita – che la Highsmith subodora pur non avendone conoscenza scientifica – ecco che tra le righe del racconto Gli uccelli pronti a volare fa dire con dispiacere “peccato che la gente debba patire a causa delle proprie emozioni”.

(*) Donne di Patricia Highsmith, Traduzione di Lorenzo Matteoli, Sergio Claudio Perroni, Hilia Brinis, La nave di Teseo, 288 pagine, 19 euro

Aggiornato il 07 marzo 2024 alle ore 15:26