“L’albergo dei poveri”: il coro dei fiati storti

Come sono i veri poveri? Un coro di fiati storti. Segnati dall’alcool e dal degrado morale e materiale. Brutti, sporchi e cattivi, già. Ma chi ci guadagna sopra? Quelli ancora più brutti sporchi e cattivi di loro che, però, sono “rispettabili”, perché magari gestiscono un ostello per miserabili, dove questi ultimi fanno un’enorme fatica a pagare anche pochi spiccioli mensili per un materasso pulcioso e una brodaglia nauseabonda che “loro”, i padroni, chiamano mensa, per i poveri appunto. Il tutto narrato e messo in scena nel bellissimo spettacolo L’albergo dei poveri, dal capolavoro Nei bassifondi di Maksim Gor’kij, che va in scena al Teatro Argentina fino al 3 marzo, per la regia e l’interpretazione (nel personaggio del Pellegrino) di Massimo Popolizio, assistito per l’occasione da un cast di assoluto prestigio.

La grande forza dell’opera promana proprio dalla “bassa” popolazione dei personaggi miserabili, ciascuno di loro contemporaneamente “aggetto” (nel senso dell’esposizione al ludibrio e all’esecrazione sociale), soggetto e “pupo” teatrale e come tale portatore di una realtà specifica, immediatamente percepibile dal suo soma, dalle sue cose lacere, dal vocabolario utilizzato in pubblico e nella tessitura torta delle sue “non-relazioni” sociali. Mani, gesti e parole usate spesso come coltelli per uccidere simbolicamente e, in certi casi, fattualmente, l’altro da . Perché poi non c’è peggiore nemico per un povero di un altro più povero di lui. Il tutto, immerso in una scenografia scarna, grigia e lugubre, con luridi giacigli, panche e banchi di lavoro sparsi alla rinfusa.

Così, Gor’kij fa precipitare sul palcoscenico i suoi angeli (de)caduti, tutti denudati e spossessati di qualcosa di essenziale: la Dignità sopra ogni cosa. C’è la prostituta vivandiera, Kvasnja (Silvia Pietta), messa sulla strada dal marito violento, la quale, alla morte sempre invocata di lui, finisce all’ostello a soddisfare le voglie del mangano (stagnino o “concolinaro”) Klesc che ha una moglie Anna, dolcissima e morente, diafana e magra come la morte stessa. Ma anche il barone (Giovanni Battaglia) decaduto non disdegna Kvasnja: lui che si proclama nobile, creduto da nessuno, e che ripete a tutti le sue vanterie sulle sostanze perdute, come le centinaia di servi e la proprietà di fantomatici palazzi nobiliari. E, poi, c’è Bubnov (Giampiero Cicciò) l’arguto cappellaio, mezzo storpio, mezzo omosessuale, che agisce come il peggiore dei censori morali rispetto ai comportamenti dei suoi sfortunati coinquilini. Lui, sempre vittima di se stesso ma, soprattutto, della propria moglie e del suo amante che gli hanno tolto la bottega e tutti i suoi averi, riducendolo in miseria. Poi c’è l’aspirante attore (Luca Carbone), pessimo nella recitazione e che dimentica le battute, divorato dall’alcool e dai suoi fallimenti esistenziali, ma ben intenzionato a credere ai sogni impossibili.

Fuori dalla legge, ecco apparire il ladro guascone mezzo alcolizzato Wasjka, detto Pepel (Raffaele Esposito), manipolato dall’avido albergatore, Kostylev (Francesco Giordano), gigantone con una folta barba e uno stomaco grande come un otre, perfetto specchio della sua ingordigia, avidità e impotenza. Costui ha una moglie degna di lui, la quale ovviamente lo odia: la sadica Vasilisa (Sandra Toffolatti) di cui Pepel è l’amante, come lo è della sorella minore di lei, la bella e delicata Natasa (Diamara Ferrero). Personaggio femminile quest’ultima, vittima predestinata a causa del suo masochismo innato, sulla quale si scatena come uno sparviero sulle spoglie dell’agnello la perfida Vasilisa, sadica e vendicativa, perennemente equipaggiata di frustino per assestare percosse a chiunque le capiti a tiro. Ed è sempre lei a riversare tutte sue frustrazioni di amministratrice degli stracci, picchiando selvaggiamente la sua sfortunata sorella, senza che nessuno degli ospiti, compreso Pepel che ne è innamorato, arrivi a difenderla.

E, poi c’è Nastja (Carolina Ellero), la ragazza, chiamata “l’idiota”, con la sua vestaglia rosso liso e in sottoveste, che legge un libro di una storia di amanti, consunto dal tempo e dall’uso, impiegata come donna di fatica e insultata dallo spocchioso barone per il suo carattere dimesso e arruffato. Suo contraltare maschile è il vagabondo Aleska (Gabriele Brunelli), giovane aitante più amico dell’alcool che delle donne, che entra ed esce di prigione per ubriachezza molesta, buttato sempre fuori con la sua fisarmonica bagnata che, come lui ubriaco, non emette più un solo suono intellegibile. Più sobrio, ma molto più ambiguo, colluso con i miserabili “poteri forti” di quel dominio di stracci, è il poliziotto Medvedev (Marco Mavaracchio), la cui figura mette assieme istituzioni e malaffare, perdutamente innamorato della bella Kvasnja. Fuori ordinanza appare poi uno statuario principe nero africano (Martin Chishimba), magnificamente vestito, il cui ruolo è quello di invocare pace, aiuto reciproco e onestà, perché solo una voce da fuori, totalmente estranea a quella civiltà di stracci cattivi, ha il diritto di gridare l’ovvio, esprimendo sagaci commenti nella sua misteriosa lingua nera.

Infine, c’è lui: Luka, finto evangelista predicatore, impersonato da Popolizio, straordinario nella parte, l’alchimista spirituale per eccellenza, un padre pellegrino che distribuisce illusioni a destra e a manca, come quella che da qualche parte esista una città (di cui lui però si è dimenticato il nome) in cui si trova una casa di cura per alcolisti cronici. Con la conseguenza che chi ci crede fa la fine di colui che cercava disperatamente sulle carte geografiche la città dei giusti, impiccandosi per la delusione di non averla trovata. E nemmeno la magia dell’amore funziona tra le sue carte da veggente truccate, perché è il demonio incarnato in Vasilisa a vincere la partita su tutti fronti. Così, Luka, mago all’inverso, tramuta le rose rosse in crisantemi gialli come il contagio da sanare, una volta portato via il corpo contaminato di Anna, con tanto di aspersioni di disinfettante sui poveri pagliericci e suppellettili dell’ostello. Spettacolo sontuoso. Da non perdere. Gor’kij semplicemente grandioso!

Aggiornato il 23 febbraio 2024 alle ore 11:13