Opinioni a confronto: “gli è tutto da rifare”

“Ciao, Mario, come va?”.

Lo spirito è pronto, ma la carne è stanca (sempre di più), come diceva Francesco Petrarca, che spirò poggiando la testa sugli ultimi versi che stava scrivendo. E io forse farò la stessa fine: sono quasi centenario”.

“Vengo a sedermi accanto a te, come facevo quand’ero ragazzo e abitavamo porta a porta. E come ha fatto mia figlia Margherita, che giorni fa ha preso il miglior voto agli esami di maturità. Eccomi qua. Ma che cos’è questo titolo Gli è tutto da rifare?

“Ma come? Tu fai l’avvocato, ma t’interessi anche di sport?”.

“Lo so: era una frase di Gino Bartali, ma cosa c’entra con l’argomento di cui dobbiamo parlare?”.

“Stamattina, al mio risveglio, che come al solito affolla la mia mente di pensieri, d’idee, d’immagini, di ricordi, e persino di versi sconosciuti, che poi vado sviluppando, ho fatto una scoperta eccezionale”.

“Non è una novità”.

“Forse più che una scoperta è un gravissimo errore della Bibbia e conseguentemente della Chiesa, che non ci ha mai pensato. Come diceva Bartali nel campo dello sport, anche in quello della nostra religione gli è tutto da rifare. L’universo in cui viviamo noi non è l’unico e solo nello spazio infinito. Nella Bibbia, la Genesi parla soltanto della nascita dell’universo nostro. Non c’è un minimo cenno a tutti gli altri, ed è da parecchio tempo che ne discutono filosofi, teologi e scienziati. Mosè, nella Genesi parla di Dio e della sua Creazione, l’universo in cui viviamo noi. Ma Mosè, cresciuto tra i faraoni, oltre che profeta e il primo legislatore della storia, era anche uno scienziato, che praticava la magia e faceva pure dei miracoli. Forse anche lui sapeva che esistevano più universi, ma con un popolo ignorante e duro di cervice che si allontanava da Dio, se l’avesse detto pensa un po’ che casino avrebbe provocato”.

“Ma esiste un solo Dio per tutti gli universi?”.

“Certo. Se Dio è Dio non ha bisogno, come fa un architetto, di avere gli operai: ha già i cori angelici, che sono emanazioni dirette di Lui stesso, fra i quali ci sono gli angeli alieni, che si curano dei pianeti, che, essendo materiali, si consumano, si danneggiano, e dunque loro, invisibili, provvedono a riparare o a prevenire i danni. Se, dunque, gli universi sono tanti, come si può parlare soltanto della Bibbia, dell’Antico Testamento e del Nuovo, che sono un pezzettino di fronte a tutto il resto? Pensare a un Dio che vive e opera soltanto nell’universo nostro, tratto per di più dal nulla, come dice la Chiesa, quando il nulla non esiste, è dire poco o niente dell’opera di Dio, di fronte a tutti quanti gli universi che stanno lontani dalla Terra, nella quale c’è solamente una minima parte degli esseri viventi di tutti gli universi. Non è dunque esatto e non basta dire che Dio creò il Cielo e la Terra, tanto meno dal nulla, perché nell’originale ebraico Mosè dice barà, che significa dare forma a qualcosa che c’è già, come un’idea, un concetto, un progetto. Quello che noi chiamiamo cielo, che non si vede ed esiste ab aeterno, cioè da sempre, altro non è che l’aria, intrisa di energia, piena di gas, di azoto, d’idrogeno, di ossigeno, invisibili tutti (Dante dice conflati, cioè confusi o mischiati insieme), da cui Dio trasse i vari elementi per fare i diversi universi concreti e materiali. La prova più lampante del processo scientifico che concretizza e rende visibili le cose ce l’offre chiaramente il fulmine, che nasce da una scarica elettrica invisibile dell’energia che si trasforma in fuoco. Giovanni, nell’esordio del Vangelo, scrive: In principio (dunque non ab aeterno) c’era la Parola, la Parola era Dio, tutte le cose sono nate da lì, dalla Parola. Non da un semplice Sia (Sia la luce, Siano le acque, Sia il firmamento, e così via), e tanto meno dal nulla, come dice la Chiesa, ma dalla pronuncia delle parole stesse corrispondenti o conformi alle cose, come il pappo e il dindi dei bambini che non sanno ancora parlare, e di cui parla Dante, che indicano la pappa e il suono del denaro che cade a terra o nel salvadanaio, ch’era chiamato appunto il dindarolo. Lo confermano le Upanishad degl’indiani, e io non vedo perché la nostra Chiesa non debba tenere in conto quella verità. Per citare alcuni esempi di quel che dicono gli orientali, Dio pronunciò Hin e da Hin nacque il fuoco, o per meglio dire, la parola Hin si trasformò nel fuoco, poi pronunciò Prastava e da lì nacque il vento, pronunciò Nidana e da lì spuntò la Luna. E così via. Tutte le cose, dunque, sono intrise o essenziate di Dio. Giustiniano diceva: Nomina sunt consequentia rerum: I nomi sono la conseguenza delle cose. Un esempio è quel che dice Dante di San Domenico, nel canto dodicesimo del Paradiso: “Poi che le sponsalizie fuor compiute al sacro fonte intra lui e la Fede, u’ si dotar di mutua salute, la donna che per lui l’assenso diede, vide nel sonno il mirabile frutto ch’uscir dovea da lui e da l’erede; e perché fosse qual era in costrutto, quinci si mosse spirito a nomarlo del possessivo di cui era tutto. Ma per le cose bisogna capovolgere il detto di Giustiniano, dicendo: Res sunt consequentia nominum, le cose sono la conseguenza dei nomi, nel senso che esse sono corrispondenti o conformi ai nomi stessi con cui vengono chiamate”.

“Del resto, per quel che ho letto anch’io, il Multiverso, cioè l’esistenza di molti universi, negli ultimi tempi è sulla bocca di tutti. Ma in realtà il concetto di Multiverso ha radici profonde, tanto in letteratura quanto nel cinema. C’è chi ha scritto che il Multiverso è un concetto di cui sappiamo spaventosamente poco”.

“Per i commentatori è l’ultimo asso nella manica di attributi ormai stantii: per gli appassionati è una sfida enigmistica a chi è più giovane di modesta prestanza fisica e dall’aspetto insignificante, che compensa la scarsa avvenenza e le frustrazioni che ne derivano con una passione ossessiva e una notevole inclinazione per le nuove tecnologie. In questo articolo cerchiamo di fare un po’ di ordine su quello che sta sempre di più diventando il fenomeno produttivo del decennio a venire, tenendo da parte le complesse nozioni di Fisica teorica che vedrebbero l’ipotesi di una serie infinita di universi paralleli dipanarsi in una sorta di macro-realtà in cui a far la differenza sono appunto le differenze significative che le distinguono l’una dall’altra. Per me sono tutti discorsi inutili. Basta andare su Internet per rendersene conto, ma nessuno fa riferimenti o accenni alla Bibbia e alla Chiesa, di cui crollerebbe la visione della Creazione di un unico universo, con la conseguenza che la Chiesa cattolica non potrebbe più vantare alcun primato sulle altre religioni. I commenti, le prove e gli esempi che offre la Chiesa su Internet, in cui per mezzo dei suoi ministri spadroneggia a tutto spiano, sono quasi tutti incredibili per un biblista colto. Io, come tu sai, ho tradotto in versi endecasillabi la Bibbia sfrondata del superfluo, in sei volumi, con una ricca e dotta Introduzione critica di più di cento pagine. Dunque, so bene come stiano esattamente le cose. Una delle tante risposte sballate della Chiesa è l’interpretazione delle invettive che Dante lancia proprio a lei, a cominciare dall’inizio, in cui il Poeta nella selva oscura incontra la bramosa lupa che gli ostacola la dritta via per raggiungere Dio. È quello che successe a me quando ero bambino e frequentavo le parrocchie per il catechismo, durante il quale i preti, sedutisi accanto a me, fra una carezza e l’altra mi strofinavano la mano aperta fra le cosce nude. Trascrivo in forma di prosa, per non affollare troppo il giornale, i versi di Dante, ai quali segue una spiegazione della Chiesa che ho trovato su Internet”.

Maledetta sia tu, antica lupa, che più che tutte l’altre bestie hai preda per la tua fame sanza fine cupa! O ciel, nel cui girar par che si creda le condizion di qua giù trasmutarsi, quando verrà per cui questa disceda? Di voi pastor si accorse il Vangelista quando colei che siede sopra l’acque puttaneggiar coi regi a lui fu vista. Fatto v’avete Dio d’oro e d’argento; e che altro è da voi a l’idolatre, se non ch’elli uno, e voi ne orate cento? Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, non la tua conversion, ma quella dote che da te prese il primo ricco patre! In vesta di pastor lupi rapaci si veggion di qua su per tutti i paschi: o difesa di Dio, perché pur giaci? Quelli ch’usurpa in terra il luogo mio, il luogo mio, il luogo mio che vaca ne la presenza del Figliuol di Dio, fatto ha del cimitero mio cloaca del sangue e de la puzza. Ecco le interpretazioni della Chiesa. Le frasi e le parole in grassetto sottolineano i suoi errori e il mio dissenso”.

“La lupa è univocamente interpretata come allegoria della avarizia-cupidigia, la più grave delle disposizioni peccaminose: già San Paolo definiva l’avarizia radix omnium malorum (radice di tutti i mali, I Timoteo, VI, 10) ed è chiaro che l’avarizia rappresenta per Dante la causa prima del disordine politico in cui versava l’Italia del primo Trecento”.

“Lo stesso Plutone è definito da Virgilio un lupo (Inferno, VII, 8) in quanto figura della cupidigia. Del resto il lupo lo si trova in molti bestiari medievali, e i Fiorentini stessi sono chiamati lupi, con evidente accenno al peccato di avarizia di cui erano esempio, e Firenze stessa è definita come città del demonio, che produce e spande il maledetto fiore, cioè il fiorino, colpevole di trasformare pecore e agnelli del gregge cristiano in lupi famelici”.

“Le tre bestie insieme possono essere un’unica creatura diabolica proteiforme. Il Male è uno e trino. Proprio come il Bene”.

“La Lupa rappresenta la concupiscentia oculorum, ovvero la smania di possesso, l’avidità generata dal desiderare attraverso occhi cupidi e bramosi. Le tre bestie si mutano una nell’altra, quasi che l’una svanisca all’apparire dell’altra, come in una sequenza onirica”.

“Il problema è questo: Senza entrare nel merito di ciascuna delle singole immagini, non si può dubitare del fatto che nel testo dell’Apocalisse l’intera raffigurazione abbia per oggetto la Roma imperiale. Sono visibili, infatti, i riferimenti ai sette colli e ai sette re”.

“Dante, pur non eliminando il riferimento a Roma, si discosta notevolmente dal testo dell’Evangelista, al punto che nel poema dantesco la prostituta che siede sopra le acque non si distingue più dalla bestia e le sette teste e le dieci corna diventano addirittura connotati positivi e possono essere agevolmente identificati con i sette sacramenti (o i sette doni dello Spirito Santo)”.

“Caro lettore queste note possano diventare per te il punto di partenza per approfondire e accrescere la conoscenza. Se la tua mente è tormentata da dubbi chiedi allo Spirito Santo di illuminarti affinché ogni incertezza sia cancellata e tu possa fare un reale incontro con Colui che è morto sulla croce per i tuoi peccati. Condividi l’articolo con i tuoi amici!”.

“Ciò che dice la Chiesa che è chiaro che l’avarizia rappresenta per Dante la causa prima del disordine politico in cui versava l’Italia del primo Trecento è una grande menzogna. Di Dante ho letto tutto. Differenziando l’indipendenza del potere dell’imperatore da quello del papa, poiché entrambi derivano la loro autorità direttamente da Dio, Dante disse che nel Trecento la Chiesa era padrona di quasi mezza Italia, e sempre più si arricchiva coi suoi tanti Palazzi dati in affitto, con i peccatori che venivano assolti soltanto se pagavano e coi lasciti di coloro che non avevano eredi. Come può dunque la Chiesa dire quelle menzogne? Anche in altri passi Dante sostiene fermamente la separazione netta fra il potere del monarca (simboleggiato dal Paradiso Terrestre) e quello del pontefice (simboleggiato dal Paradiso Celeste). Nell’ultimo mio poemetto, ch’è in corso di stampa, un capitolo l’ho intitolato La Chiesa arraffatutto. Si è persino appropriata dell’Antico Testamento perché nel plurale in cui Dio dice Ora facciamo l’uomo, vede la Trinità cristiana che è ancora di là da venire. Ora voglio sentire cosa dirà la Chiesa sull’ultimo mio poemetto La morte di Dio come Parola, nel quale sostengo che se Dio ha avuto un principio come Parola (così dice Giovanni nell’esordio del suo Vangelo), deve avere per forza, come tale, una fine, e questa è la mia ipotesi. A un certo punto, magari fra miliardi di anni o di secoli, quando l’evoluzione degli uomini sarà giunta all’ultimo stadio (come nella meditazione yoga, che io ho sperimentato e che pratico ancora), sia gli uomini che Dio, che ora sono arrivati a parlare coi cellulari dai luoghi più lontani, cesseranno di parlare in quanto Dio illuminerà il loro cervello dal quale quella luce uscirà entrando nei cervelli degli altri, come fanno gl’ipnotizzatori che utilizzano la loro energia (tale infatti è il pensiero) che entra nella mente degli altri e si trasforma in parole. Anche Cristo faceva così coi suoi presunti miracoli. Ma il compito e l’opera di Dio non finiranno: Lui si darà soltanto a un’altra attività”.

“Oppure creerà un altro universo, dato che l’infinito non finisce mai!”.

Aggiornato il 20 luglio 2023 alle ore 18:18