Pressoché ogni epoca maturata nella sua determinazione, si ritiene in possesso della “ragione sostanziale”, la ragione che trova la verità, la vive, la perfetta maniera di vivere. I greci ne furono convintissimi, anche i romani. Con il Cristianesimo il cambiamento è radicale ma apparente, il Cristianesimo ritiene la fede costitutiva della verità tuttavia non rinunciava alla verità anche se ottenuta mediante la fede, comunque la “verità” morale, la giusta maniera di vivere, la giusta conoscenza. L’attestazione più limpida della capacità dell’uomo di stanare la vera conoscenza, la vera vita, i veri valori, la verità mediante la ragione, questa convinzione la si ebbe con l’Illuminismo nel XVIII secolo, il quale codificò proprio che la ragione dava la verità, la giusta morale, la giusta conoscenza, l’uomo che si perfeziona continuamente in un progresso infinito, si sgombra dalle superstizioni religiose e dal settarismo che ne verrebbe, e quindi fratellanza umana, universalismo nella comune verità razionale, e la libertà razionalmente affermata, Io sono razionale e merito di agire con la mia capacità razionale, quindi da uomo libero non diretto dall’esterno.

Quanto di meglio poteva riuscire per l’uomo mediante appunto la ragione, la ragione sostanziale, sulla sembianza della ragione sostanziale greca, l’uomo che controlla le passioni pur vivendole, mantenendole equilibrate, che merita la libertà, perché avendo la ragione non ha bisogno appoggio esterno. Dicevo, bada a se stesso. È autonomo, capace per se stesso, individuo, l’uomo soggetto, ciascuno con la propria ragione, ma tutti razionali quindi c’è intesa, in armonia, anche il “potere” deve essere razionale, anche le leggi, e tutto questo è ispirato dalla struttura razionale per eccellenza: la natura, la natura razionale il fondamento dell’Illuminismo, ispirarsi alla natura. E perfino Dio era razionale, era la ragione impersonalizzata (deismo) che si diramava assegnando leggi razionali, incarnandosi nella natura. Una trafittura di razionalità, Dio, Natura, Uomo, che stabiliva la concordia cosmica da tempio greco.

L’uomo che espresse questo panorama, lo concepì, l’uomo che consegnò ogni diramazione dell’esistenza alla ragione ritenendo che sotto il segno della ragione tutto e tutti avrebbero raggiunto verità e armonia fu un personaggio stecchito fisicamente, quasi scheletro discarnato ossiforme, occhi grandi, di una semplicità elementare, abitudinario in modo ossessivo, privo d’erotismo al punto da non comprendere di avere una donna a letto (un tentativo degli amici di umanizzarlo oltre la ragione!), sedentario, tedesco, ebbene questo esserino, demente al finire dell’esistenza, legatissimo ad amici costanti da sempre e per sempre, Immanuel Kant (Konigsberg, 1724-1804), compì l’estremo sforzo, dopo Aristotele, di una filosofia sistematica che non trascurava territorio attingendo all’intero pensiero occidentale presumendo di poter dare concezione più nettamente razionale mai formulata, dopo Aristotele, dicevo, certo prendendo enormemente dagli altri, ovviamente dal pensiero greco e dal pensiero a lui precedente, il razionalismo e l’empirismo.

Un ultimo empirista, David Hume (1711-1776, scozzese di Edimburgo)), aveva insieme vulnerato e riaffermato l’empirismo: se tutto è sperimentabile e da sperimentare non possiamo avere conoscenza prima dell’esperienza, non posso dire: domani il sole sorgerà perché sorge da miliardi di anni, ogni sorgere è verificabile quando sorge; non basta: Hume nega addirittura la conoscibilità della causa efficiente: se una palla colpisce un’altra palla la quale è mossa, io non posso dire che la palla è causa del movimento della palla toccata, ma che ho visto una palla toccare l’altra che si muove (post hoc non già propter hoc, dopo questo non a causa di questo), noi non conosciamo che il fenomeno “esterno” degli eventi, non siamo dentro gli eventi. Sono opinioni dubitative sulla ragione e su quanto riusciamo a conoscere. Kant ne fu sensibilizzato.

La sua filosofia intende appunto verificare i poteri della ragione, una filosofia “critica”, l’analisi che la ragione fa di se stessa, se Hume perveniva al dubbio continuo sanato da un sistema mentale che ricorre non alla scoperta della verità ma a delle conoscenze consuetudinarie, Kant mette in dubbio la ragione perché la ragione si munisca contro i suoi limiti e conoscendoli li risolva. La sua idea, molto problematica, è che la ragione analizzando se stessa conquisti fiducia in sé stesse ed è sicura dopo essersi criticata di poter raggiungere la verità in tutti i campi. È una contraddizione: chi mi accerta se la ragione non sbaglia e mi fa credere che non sbaglia? Un giro a vuoto, io credo nella ragione che mi fa credere di essere nel vero, e se la ragione non è razionale come faccio a scoprirlo? Vi è la possibilità di una razionalità riconoscibile da tutti e addirittura tale da obbligarla a tutti essendo la ragione? O rischiamo la prepotenza? Sia che sia: Kant “critica” la ragione, ne coglie virtù e margini (ritiene) e inizia il viaggio della razionalità senza termine. La vita secondo ragione.

Aggiornato il 04 luglio 2022 alle ore 12:28