La scuola dell’elitismo e la libertà/1

Se dal punto di vista economico la Scuola austriaca offre ancora oggi l’appoggio teoretico più sicuro per interpretare molti eventi e molte dinamiche contemporanee, è vero anche che dal punto di vista sociologico i libertari dovrebbero prendere in maggiore considerazione gli spunti di riflessione e le economie considerate avanzate da un altro importante filone di pensiero, ossia quello della Scuola elitista, che vede come propri rappresentanti più noti il ​​trio di pensatori Vilfredo Pareto, Gaetano Mosca e Robert Michels. Si tratta di pensatori che vanno esaminati Cum grano salis, certo. E tuttavia, molti elementi cardine della sociologia elitistica potrebbero essere di utile ispirazione per una migliore comprensione della condizione attuale italiana, e non solo di essa. Il fondatore della Scuola elitistica, Vilfredo Pareto (1848-1923), è stato un intellettuale davvero poliedrico: ingegnere di formazione, brillante matematico, studioso di statistica, fu anche filosofo ed economista. Pareto si interessò sin da giovane allo studio di quelli che all’epoca erano considerati i grandi esponenti del pensiero “neoclassico”, dal cui sarebbero nati appunto gli austriaci e che si erano posti in opposizione alla Scuola economica classica, ossia quella di Adam Smith e David Ricardo. Pareto riuscì così ad analizzare e formalizzare molti concetti economici di studiosi del calibro di Carl Menger, il padre della Scuola austriaca.

Ciò che a noi interessa, tuttavia, è il suo apporto sociologico. Da liberista convinto quale egli era, Pareto non era certo illuso del buon funzionamento del sistema democratico. L’errore della democrazia – cui spesso risultano imbattersi anche numerosi pensatori libertari contemporanei – è in fondo lo stesso errore fondamentale del socialismo, ossia l’idea secondo la quale tutti gli uomini siano uguali per natura e che le disuguaglianze siano invece frutto di ingiustizie perpetrate a solo vantaggio di poche classi. La verità è un’altra: gli uomini sono disuguali per natura. Non solo per forza fisica e intelletto, ma anche per meriti e bisogni. Di conseguenza, la definizione classica di giustizia, di platonica memoria – Suum jus cuique tribuere, “Dare a ciascuno ciò che gli spetta” – non è compatibile con la definizione moderna e rivoluzionaria di giustizia, che va parafrasata con l’espressione Eundem jus cuique tribuere, “Dare a ciascuno la stessa cosa”.

La disuguaglianza degli uomini è dunque per Pareto una sorta di evidenza, un postulato sociologico, un punto di partenza indiscutibile, che di per se stesso non rappresenta né un male né un bene. Questo naturalmente non vuol dire che non ci siano disuguaglianze che possono essere state causate da ingiustizie, ma solo che la giustizia non generi uguaglianza. Stando così le cose, la società umana naturale (cioè che si genera spontaneamente) per forza di cose è di natura elitistica: cioè ha al proprio apice una élite, una classe o un sistema di classi che dominano sulla maggioranza delle persone. La storia – diceva Pareto – “è un grande cimitero di élite”. Sorge dunque spontanea una domanda: come si forma l’élite? Secondo quale criterio le società passano dall’essere controllate da una certa élite all’altra? A questa domanda risponde, in maniera molto interessante, l’altro grande esponente italiano della Scuola elitistica, cioè Gaetano Mosca. Egli è autore del criterio delle “tre C”: consapevolezzacoesionecospirazione. L’élite sono sempre classi minoritarie della società che escono vincitrici dalla storia – ci dice Mosca, in accordo con Pareto – le quali però godono di tre caratteristiche, che le altre classi, sia quelle minoritarie sia quelle maggioritarie, non hanno.

La prima di queste caratteristiche è la consapevolezza. In parole povere, ogni classe minoritaria dominante è una classe che sa cosa la contraddistingue da tutte le altre. È composta da individui che hanno una chiara visione del mondo, della società, dell’uomo (a prescindere se essa sia materialmente vera oppure no), una visione sistematica e onnicomprensiva della realtà. La seconda caratteristica è la coesione: gli individui che formano la classe sono uniti (il che non necessariamente va a scapito dell’unicità delle persone che la compongono) e sanno che il successo della loro idea dipende anche dalla capacità di conservare e rinnovare ciò che lega i singoli membri del gruppo. Infine, la terza caratteristica è quella che Mosca chiamava cospirazione. Essa e la capacità dell’élite di nascondere la propria presenza e il proprio potere agli occhi della massa.

 

Aggiornato il 14 novembre 2021 alle ore 22:28