“DUE VITE” DI EMANUELE TREVI, VINCITORE DEL PREMIO STREGA

Nell’ultimo libro di Emanuele Trevi, vincitore del Premio Strega di questo anno, intitolato “Due Vite”, edito dalla casa editrice Neri Pozza, il percorso umano ed intellettuale di due scrittori morti prematuramente, Rocco Carbone e Pia Pera, viene delineato con magistrale profondità di sguardo. Con uno stile in cui la parte saggistica e teorica coesiste nel libro in un perfetto equilibrio narrativo con quella descrittiva, il lettore in questo racconto, conciso ma denso di idee e immagini letterarie indimenticabili, rivive il destino che è toccato in sorte a questi due scrittori, uniti da un sodalizio intellettuale con Emanuele Trevi, scrittore e critico letterario di valore.

La prima immagine, che riaffiora dal passato dell’autore di questo libro, si riferisce alla visita che nel lontano 1995 i tre amici fecero al Musée Orsay di Parigi, dove era esposto il quadro di Courbet “L’origine del Mondo”, di cui lo stato francese era entrato in possesso da poco. Rocco Carbone, al cospetto del quadro, rimase colpito dalla potenza erotica della immagine, di cui, in ogni caso, non gli interessavano i sottintesi significati filosofici e naturalistici. Rocco Carbone, che Emanuele Trevi aveva conosciuto nella facoltà di lettere della Sapienza di Roma, aveva il senso esatto delle parole, spogliate di tutta la loro ambiguità ed ambivalenza. Nel 1983 abitava a Roma nel collegio dei padri Silvestrini, situato tra piazza della Pigna e piazza della Minerva, non lontano dalla sede della polizia, in cui lavorava, nella finzione letteraria, don Ciccio Ingravallo, il commissario di polizia protagonista de “Quer Pasticciaccio Brutto di via Merulana”, libro che per Carbone divenne un modello letterario da studiare con attenzione ed acribia. Parlare della vita di Rocco Carbone, che era nato a Reggio Calabria il 1962 ed aveva vissuto la sua infanzia in un paesino alle pendici dell’Aspromonte, Cosoleto, significa porre l’accento sulla sua irredimibile infelicità. La sua infanzia, come ammetteva, non era stata mai al riparo da questo compagno segreto, da questa ombra opprimente e malinconica che lo condannava alla infelicità perenne. La sua vita adulta venne insidiata e contaminata da questa oscura potenza. Rocco Carbone, dotato di mente brillante, nei primi anni di studio, essendo un lettore onnivoro, si era occupato con serietà e rigore della teoria letteraria, in particolare degli studi legati alla semiologia e alla semiotica. Conosceva i testi capitali dei pensatori strutturalisti come la “Morfologia della fiaba” di Propp con l’introduzione di Levi-Strauss, i saggi di linguistica generale di Jakobson, la semantica strutturale di Greimas. Interrogato da Trevi sulla utilità di quel linguaggio, e su quella smania di classificazione e astrazione da cui era dominato, Carbone rispose che gli servivano gli strumenti per cogliere il valore letterario dei grandi libri di cui sono autori i geni della letteratura universale. Invece di diventare un docente universitario di letteratura , Rocco Carbone decide e sceglie di scrivere dei libri, in cui a colpire è l’uniformità dello stile, per conferire un ordine immutabile alle frasi e tenere a bada l’imprevedibile e l’irrazionale. “Agosto”, il suo primo libro pubblicato il 1993, contiene gli elementi essenziali della sua poetica: la tonalità emotiva, lo stile inconfondibile, la struttura ordinata del racconto. Il suo libro maggiore, intitolato “Apparizione”, storia di un uomo posseduto da una mania ossessiva che lo induce a ritenere di essere innamorato e corrisposto da una donna che gli è indifferente, per Trevi è fondamentale poiché rivela la rappresentazione allegorica, presente nei libri di Carbone, e basata sulla personificazione della emozione, del turbamento, del desiderio, della sofferenza. In realtà il racconto mostra come, in virtù di un processo di differenziazione, ciò che accade nella mente del protagonista e nella sua coscienza è separato dalla vita reale. Rocco Carbone viene descritto come un uomo incline al risentimento per futili motivi e pronto a manifestare la propria delusione verso il prossimo per questioni irrilevanti. Infatti, ad un certo punto, Emanuele Trevi si allontana dal suo amico scrittore.

Pia Pera, donna che incarnava secondo il giudizio di Trevi una concezione della vita libertina e scevra da condizionamenti moralistici, diventa sua amica dopo che l’aveva incontrata e conosciuta ad un convegno a Frosinone dedicato a Tommaso Landolfi, scrittore geniale e traduttore dei grandi scrittori russi. Infatti Pia Pera, che pubblicò un libro basato sulla idea poetica di riscrivere “Lolita” di Nabokov dal punto di vita della protagonista, era una insigne studiosa di letteratura russa. L’opera che la rende grande, come studiosa e letterata, è la traduzione del poema “Evgenij Onegin” di Puskin, che per Trevi è un capolavoro di leggerezza, lirismo, duttilità, ed un vero omaggio alla lingua italiana. Pia Pera, che tradurrà anche il libro di Lermontov “Un Eroe del Nostro Tempo”, è una studiosa di buona famiglia che ad un certo punto decide di abbandonare la casa elegante e raffinata situata a via Archimede a Milano per trasferirsi in Toscana in un maniero di campagna, ereditato dai suoi genitori, dove decide di coltivare con tenacia e ostinazione le piante per dare vita ad un giardino in cui emerge, secondo la brillante interpretazione di Trevi, il rapporto controverso tra la natura e la grazia e la loro reciproca inconciliabilità. Per Trevi il merito della traduzione del libro di Puskin, che va riconosciuto a Pia Pera, risiede nell’avere superato il problema della voce narrante, visto che è Puskin che racconta la vita del suo amico Eugenij Onegin direttamente ai lettori senza assumere una maschera. Ricorda, Emanuele Trevi, la riconoscenza di Pia Pera quando gli prestò il libro di Renè Girard, intitolato “Menzogna romantica e verità romanzesca”, testo fondamentale per capire la letteratura occidentale. Prima della sua morte, avvenuta a Piazza Albania ai piedi dell’Aventino, in seguito ad un incidente in cui Rocco Carbone si schiantò con il suo motorino su di una macchina in seconda fila, Trevi aveva ristabilito il rapporto di amicizia con il suo amico intellettuale, che sembrava avere ritrovato l’equilibrio interiore. Nei pressi del luogo in cui è avvenuto l’incidente mortale, è stato piantato un albero di ulivo in ricordo del giovane e geniale scrittore. Pia Pera, colpita da una malattia devastante e terribile, che l’ha progressivamente condannata alla immobilità prima di causarne la morte, ha vissuto i suoi ultimi anni di vita nella villa di famiglia circondata dal suo bellissimo giardino, di cui ebbe cura come della opere letterarie che aveva scritto e tradotto. Una libro colto e raffinato.

Aggiornato il 23 agosto 2021 alle ore 11:39