L’adelphiano Come ordinare una biblioteca consta di quattro saggi, di cui tre editi (sebbene uno solo parzialmente). Qui però vorremmo richiamare l’attenzione su quello che viene squadernato davanti al lettore per la prima volta, Gli anni delle riviste. La giustificazione che l’autore, Roberto Calasso, adduce per inserire il saggio in questa raccolta di scritti risiede nella circostanza che anche alle riviste può, anzi deve essere applicata la regola aurea del “buon vicino” formulata dallo storico dell’arte Aby Warburg, secondo cui “nella biblioteca perfetta, quando si cerca un certo libro, si finisce per prendere quello che gli sta accanto e che si rivelerà essere ancora più utile di quello che cercavamo”. Non è questo, però, il solo aspetto che ci ha incuriosito dell’assai colto e raffinato, ma trattandosi della penna di Calasso difficilmente avrebbe potuto essere diversamente, capitoletto.

Nel momento, infatti, della massima fioritura novecentesca delle riviste letterarie francesi, tra il 1920 e la seconda guerra mondiale, possiamo assistere a una delle prime manifestazioni nel secolo scorso dei discorsi letterari militanti ed engagés e di quelli coltivati, come scriveva nell’aprile 1924 Paul Valéry a Marguerite Caetani, dalle “persone dallo spirito assolutamente libero, che non devono più farsi conoscere e sparare colpi di pistola sui lampioni, e che d’altra parte non sono legate a un qualche sistema”. Commerce, questa la rivista cofondata in quello stesso anno dal poeta francese, non avrebbe dovuto allora preoccuparsi di accattivarsi le simpatie dei lettori. Lontani da qualsivoglia manifesto programmatico, i suoi collaboratori avrebbero dovuto rinunciare ad “avere l’aria di essere rivolti verso il pubblico”, come se fossero “in piedi su un palcoscenico”, pubblico peraltro “autorizzato a guardare” ma solo “dalla finestra”. Bersaglio polemico di Valéry erano, evidentemente, “gli avanguardismi” e, più in generale, gli intellettuali, facitori di sistemi che avevano “la realtà onnipotente e inconsistente di una partita a carte”.

Quanto distante dall’ironia di un Valery, che, osserva Calasso, avrebbe pilotato Commerce senza “cadere nella trappola della presa di posizione”, era allora la ferocia di un André Breton che, in occasione della morte di Anatole France nell’ottobre del 1924, ebbe a definire nel pamphlet a più mani, Un cadavre, il già premio Nobel della letteratura idiota, traditore, poliziotto, servile, augurandosi che per rinchiudervi il suo cadavere si svuotasse “una di quelle baracche dei quais di quei vecchi libri che amava tanto” e si gettasse “il tutto nella Senna”, che l’uomo, da morto, non avrebbe più dovuto “produrre altra polvere”. Nelle vicende composite delle avanguardie, scrive Calasso, “forse non è stato mai toccato un punto di pari bassezza”.

Aggiornato il 04 settembre 2020 alle ore 15:25