L’italiano è una lingua morta

In questo Paese la libertà non esiste più, l’Italia è stata terminata da un gruppo d’incompetenti approssimativi capitanati da un parvenu affetto da delirio d’onnipotenza che parla a reti unificate con il plurale maiestatis senza – peraltro – averne alcun diritto.

Un governo che vuole lo “smart working” senza sapere di non avere neanche i mezzi per attuarlo, perché la fibra ottica ancora non è sviluppata ovunque, perché spesso le persone non hanno i computer aggiornati all’ultimo modello. Un esecutivo che ha in poche settimane impoverito e massacrato economicamente l’Italia adesso vuole la “scuola a distanza” così da devastare definitivamente anche quella.

Quando gli italiani si renderanno conto che il pogrom sociale attuato da questo governo ha distrutto il bene più prezioso del nostro Paese, ovvero la Cultura, sarà troppo tardi. Un intero settore talmente importante da essere sempre stato dato per scontato quale l’arte, e con lei lo spettacolo, il turismo e la cultura, annichilito in pochi giorni. E tutti a preoccuparsi d’altro ovviamente.

Anche in quest’occasione che tutti avremmo volentieri voluto evitare, il mondo fatato della “comunicazione” italiana si è contraddistinto per il suo provincialismo congenito nell’ostinarsi a utilizzare parole straniere al posto di quelle, nobilissime ed esistenti da tempo, italiane.

Ecco quindi che le pagine elettroniche e cartacee, degli organi d’informazione e dei media, hanno subissato il lettore e lo spettatore, o l’ascoltatore, di inutili termini come “runner” o “fake news”, o ancora “lockdown” o “task force” soltanto per dirne alcune tra le innumerevoli.

Perché utilizzare “step” quando esiste la parola italiana “passo” oppure appunto “lockdown” invece di “blocco”, “task force” è semplicemente “manipolo, gruppo di esperti”, “fake news” vuol solo dire “notizie false” e “runner” non è legato né a Willy il Coyote né ad Arnold Schwarzenegger, quanto la semplice traduzione di “corridore”.

Non chiedo di ritornare ai tempi in cui “c’era Lui”, al vituperato Ventennio, durante il quale qualsiasi termini di origine straniera veniva tradotto nell’italico idioma a volte con risultati ridicoli da far rievocare i fasti del miglior Corrado Guzzanti di “Fascisti su Marte”. No, appunto, non vorrei mai questo, la lingua, qualsiasi lingua, anche quella italiana, non è qualcosa di statico, essa si modifica nel tempo, ma perché utilizzare termini – per lo più anglofoni – quando esiste il corrispettivo nostrano?

La debolezza dei presunti professionisti della comunicazione nel nostro Paese si vede anche da questo, quasi soffrissimo di un recondito, forse non troppo, complesso d’inferiorità nei riguardi di altre nazioni per cui se una cosa viene chiamata con il suo corrispettivo estero allora risulta essere più importante altrimenti, se chiamata con il termine italiano, è diminuita. Questo spiega il famoso “Corona vAirus” di Luigi Di Maio.

Ma del resto in un momento nel quale il ministro all’Istruzione, Lucia Azzolina, propone, facendo eco al suo amico di scranno Dario Franceschini, di potenziare i corsi scolastici mediante la rete, mi sembra aver detto a sufficienza. Se vi fu un tempo in cui il latino prima e dopo di lui una lingua franca unificò l’Europa durante i secoli del Medio Evo e del Rinascimento, oggi potrebbe benissimo essere adottato l’inglese che poi è ormai diventato un “anglico” essendo anch’esso frammisto di altri termini importati e dunque spuri rispetto alla lingua madre di Albione. Tuttavia resta inutile il suo utilizzo continuo all’interno dei nostri confini, ammesso che quest’ultima parola nel caso dell’Italia abbi ancora un senso.

Quegli sciovinisti dei francesi, nostri detestati cugini, da sempre hanno adottato una linea di protezionismo nei confronti della loro lingua, mentre noi ci lasciamo sempre invadere e conquistare, felicemente, pacificamente, e così scriviamo “all inclusive” credendo sia meglio di “tutto compreso” o “background” per dire “sfondo” però paghiamo “cash”, ma pur sempre “in contanti”…

No, gli anglosassoni continuano a storpiare il nome del Buonarroti chiamandolo “Maicolangielo”, è vero, ma io a loro di questo non faccio una colpa, fanno del loro meglio per rispettare la nostra grandezza di un tempo, siamo noi, noi i deboli senza carattere che non difendono la Patria neanche sulle parole crociate.

Aggiornato il 11 maggio 2020 alle ore 11:43