Red Land (Rosso Istria), la tragedia delle Foibe in un film

Il dramma delle Foibe. Red Land (Rosso Istria), pellicola coinvolgente che, nonostante la durata (quasi 3 ore), ci fa trattenere il fiato nella vana speranza che la trama non si concluda con il tragico epilogo che già conosciamo. Un olocausto, ancor oggi, senza memoria.

Rosso non è il colore del vessillo comunista ma quello della terra, intrisa di minerale, tanto amata dai connazionali istriani.

È la storia delle tante famiglie che avevano fatto di questa regione di confine, civilizzata dai Romani e dai Veneziani, il cuore di una piccola comunità, saldamente, legata alle tradizioni e alla cultura italiana. Struggente la scenografia: interni dai colori sgranati come nelle  vecchie foto, stanze con pavimenti in graniglia e arredi essenziali, cucine economiche e la lenta routine quotidiana cadenzata dalle malinconiche canzoni degli anni Quaranta, gli echi lontani della guerra, lo smarrimento della sconfitta e il senso di abbandono dopo l’armistizio.

Ritratti di famiglie piccolo borghesi, improvvisamente, proiettate dalla normalità giornaliera all’orrore della pulizia etnica e delle violenze titine.

Ottima la regia di Maximiliano Hernando Bruno, con abbondante uso di piani sequenza. Convincente il cast che annovera, tra gli altri, Franco Nero, professore di italiano, mite e colto – e per questo perfetto bersaglio dell’odio titino – Selene Gandini, la dolce protagonista, brutalizzata e infoibata insieme ad altri civili (terribile la scena dello stupro di gruppo ad opera dei partigiani) e di Geraldine Chaplin nel ruolo di una donna, ormai anziana, sopravvissuta, da bambina, agli orrori delle incursioni dei comunisti slavi contro la popolazione civile italiana.

Quando, quasi in pellegrinaggio sui luoghi della memoria, ritrova in un armadio, solitaria reliquia della casa avita, la bambola di stoffa, ingenuamente, nascosta agli aguzzini, in quei tragici momenti della sua infanzia, ella trova la forza di riaprire le ferite dei ricordi.

Qualche condonabile smagliatura  nelle scene in cui compaiono soldati tedeschi che sembrano le goffe caricature delle vignette di Sturmentruppen: budget constraints…

Tanti momenti di amori, passioni, lealtà e tradimenti, coraggio e codardia, errori e pentimenti, speranza e illusioni. Tra queste ultime, quella dei partigiani italiani accorsi in aiuto ai titini e che si accorgono, ben presto, di essere odiati tanto quanto i fascisti e gli altri connazionali.

Il film è stato, ingiustamente, relegato all’uscita nei cinema romani in poche sale, quasi ignorato dalla critica mainstream e raramente rimandato in onda sulle reti pubbliche, nonostante fosse coprodotto da Rai Cinema. Non sono mancati addirittura inviti alla censura del film, perché, apparentemente, disturba l’ortodossia della narrazione della guerra di Liberazione. Anche se lo stesso Presidente Giorgio Napolitano aveva riconosciuto, nel discorso del suo insediamento, le troppe ombre attorno ad essa.

Vincitori e Vinti. Questi ultimi non sono gli innocenti immolati nella furia comunista, ma gli esecutori e gli ispiratori di questo orrendo crimine contro l’umanità, nascosto, agli occhi del mondo, nelle foibe. E che, nemesi storica, si è ripetuto con altri attori e molte altre vittime innocenti, durante le guerre balcaniche, qualche decennio dopo. Vinto è chi, ancora oggi, tenta di silenziare la voce di verità su questa pagina vergognosa della guerra partigiana. Vinti sono coloro che evocando, oggi, i fantasmi di inesistenti fascismi o razzismi, sono sempre pronti a legittimare violenza verbale e fisica contro gli avversari, nell’illusoria speranza di ridar vita al cupo credo ideologico, già sconfitto, ovunque, dalla storia. Da non perdere: 4/5.

Aggiornato il 12 febbraio 2020 alle ore 21:47