Il segreto della felicità secondo Ortega y Gasset

José Ortega y Gasset è un filosofo poco studiato in Italia, ma è stato a lungo uno dei più letti in America. Attivo in Spagna nella prima metà del secolo, è un anticipatore di molti temi che poi diverranno dominanti anche nella filosofia “esistenzialista”. È in genere letto e apprezzato più da scrittori e intellettuali che dai filosofi di professione. Probabilmente per il suo stile chiaro e poco specialistico. Certo è che in Italia gli vengono dedicati meno cicli di lezioni di quanto le sue opere meriterebbero, anche alla luce del fatto che alcune di esse, come La ribellione delle masse, sono state per decenni degli autentici best seller in tutto il mondo.

L’essere umano è secondo Ortega ciò che manca di fronte alla vita, quell’ente particolare che è sempre in debito con la vita. “La vita non basta a sé stessa e l’essere umano soffre per questo – come scrive Bernard le Bovier de Fontenelle – di una certa difficoltà ad essere”. Per lo stesso motivo il pensiero di ogni uomo è essenzialmente rivolto verso l’Altro, verso la sua “circostanza”, e l’uomo è sostanzialmente emigrante, in quanto consiste nel suo “non essere ancora”. Così come l’amore è in continua gravitazione intorno alla persona amata e l’Eros si nutre d’immaginazione e illusioni, l’uomo è in continua migrazione oltre sé stesso.

L’ammirazione che sa provare per qualcuno o il suo desiderio di conoscenza sono costituenti decisivi del suo sviluppo spirituale perché possono aiutarlo ad orientarsi nella propria circostanza e a fargli individuare la propria peculiare prospettiva sul mondo che lo circonda. La sua condizione è quella di un “animale ipotetico”, originariamente dubbioso e spaesato, ma portato a credere e ad accomodarsi dentro le sue credenze. La sua vita è insicurezza, “preoccupazione” (Ortega preferisce questo termine a quello di “cura”, utilizzato da Martin Heidegger per definire un concetto analogo) che si manifesta in un continuo aver qualcosa da fare, e quindi è storia delle sue illusioni e dei suoi naufragi.

Per l’uomo l’universo è uno spettacolo che manca d’integrità e così il suo pensiero si aggira alla periferia del proprio mondo nel tentativo di poterlo abbracciare con lo sguardo. Appoggiandosi all’orizzonte che può scorgere dal suo peculiare punto di vista, ognuno produce così la sua rappresentazione – a volte mutuata da altre correnti e intese dire, altre volte maturata nella propria solitudine essenziale – attraverso il continuo dialogo con l’Altro, di volta in volta incarnato dagli altri particolari che lo circondano e dai loro particolari punti di vista, dalle tradizioni culturali che ha condiviso o dalla sua idea dell’assoluto, che può in taluni casi coincidere con la sua idea di Dio.

All’inizio v’è dunque “l’esigenza d’essere” che caratterizza la vita, e d’altra parte la vita è l’unico luogo dove l’universo può riconoscersi: questo è il paradosso fondamentale che la costituisce. L’universo può riconoscersi solo nella vita e questa è essenzialmente “mancanza ad essere”, ricerca di un punto di vista organico che le fornisca l’unitarietà e compattezza necessarie per poter trovare la propria felicità, ma sempre al prezzo di un’inquietudine che si rinnova oltre ogni certezza ed all’interno di ogni credenza.

“La felicità – diceva Prosper Mérimée – è come una voglia di dormire”. Ortega non è molto d’accordo, a meno che non s’intenda con tale espressione il desiderio di uscire da noi stessi. È infatti solo quando sappiamo lasciarci assorbire da qualche occupazione o interesse, a concentrare la nostra attenzione su qualcosa o qualcuno, che riusciamo a non avvertire ciò che sta all’origine di ogni infelicità, ovvero “lo squilibrio tra il nostro essere in potenza e il nostro essere in atto. Quanto minore è l’estensione delle nostre attività, in misura maggiore saremo spettatori di noi stessi”, sospesi a metà strada tra i nostri propositi non realizzati e i nostri tentativi repressi. Per questo possiamo, secondo Ortega, provare invidia per le persone ingenue, “la cui coscienza sembra trasferirsi interamente in ciò che stanno facendo, nel loro lavoro, nel godimento del loro gioco o della loro passione”.

José Ortega y Gasset, Meditazioni sulla felicità, Sugarco Editore.  

 

Aggiornato il 16 ottobre 2019 alle ore 14:16