Cannes 2019, il trionfo del cinema d’autore

I maestri del cinema partecipano alla settantaduesima edizione del Festival di Cannes. Una parata di grandi cineasti. Da Marco Bellocchio (unico italiano in gara) ad Almodovar, da Ken Loach, due volte Palma d’oro come i fratelli Dardenne, a Jim Jarmusch, da Terrence Malick a Quentin Tarantino, entrambi vincitori una volta del massimo premio. Cannes è il trionfo del cinema d’autore internazionale. Migrazione e povertà, obiezione di coscienza e amarcord, nostalgie hollywoodiane e antimafia. Sono solo alcuni dei temi della ricchissima kermesse cinematografica curata da Thierry Frémaux, che ha preso il via martedì 14, per concludersi sabato 25 maggio.

La giuria del festival, presieduta dal regista messicano Alejandro González Iñárritu, è composta dalla cineasta italiana Alice Rohrwacher, dai registi e sceneggiatori francesi Enki Bilal e Robin Campillo, dall’attrice statunitense Elle Fanning, dal regista greco Yorgos Lanthimos, dall’attrice e regista del Burkina Faso Maimouna N’Diaye, dal regista polacco Paweł Pawlikowski e dalla regista statunitense Kelly Reichardt.

Cannes è stato “inaugurato” da una polemica tutta italiana. Già. Perché il film di Bellocchio, Il traditore, arriverà nelle sale il 23 maggio, nel ventisettesimo anniversario della strage di Capaci. Domani, invece, si celebra l’ottantesimo della nascita di Giovanni Falcone. La data d’uscita non è piaciuta ai familiari delle vittime. Che l’hanno trovata un’operazione di marketing. Giovanni Montinaro, figlio del caposcorta del giudice morto nell’attentato, ha scritto sul profilo Instagram di Pierfrancesco Favino, che interpreta il ruolo di Tommaso Buscetta nel lungometraggio.

“Sinceramente – ha sottolineato Montinaro – l’uscita nelle sale il 23 maggio è solo marketing. Da orfano di quella strage mi permetto di scrivere che è decisamente offensivo. Nulla di personale, da ignorante in materia, la considero un attore fenomenale”. L’attore ha replicato con molto garbo. “Caro Giovanni – ha scritto – credo di poterla rassicurare circa il desiderio nella scelta della data di omaggiare e ricordare quel giorno senza retorica e senza il desiderio di approfittare di un evento così tragico. Le assicuro anche che nel film non troverà niente che potrà farglielo pensare. La saluto con affetto e la ringrazio di avermi scritto”.

La controreplica di Montinaro è apparsa, comunque, conciliante: “Io – ha concluso – ringrazio lei per la risposta e mi scuso. Sicuramente era meglio un messaggio privato, ma deve comprendere, certi argomenti non mi permettono di riflettere. Le farò sapere che ne penso, per quello che può valere, comunque dopo il 23, capisce bene che quel giorno sono abbastanza impegnato. Saluti”.

Polemiche a parte, resta il grande cinema. Ecco gli altri venti film in concorso sulla Croisette.

I morti non muoiono di Jim Jarmusch è stato il film d’apertura. Il regista (autore del bellissimo Dead Man, un film del 1995, interpretato da Johnny Depp, presentato in concorso al quarantottesimo Festival di Cannes) mostra la pacifica città di Centerville assalita da un’orda di zombie affamati.

Les miserables di Ladj Ly è ispirato agli scontri nelle banlieue parigine del 2005. La storia racconta le vicende di tre membri di una brigata anti-crimine mentre cercano di arrestare un uomo.

Nighthawk di Juliano Dornelles e Kleber Mendonca narra di un regista che decide di recarsi in un villaggio all’interno del Brasile per girare un documentario. Con il passare dei giorni i locali sembrano nascondere degli oscuri segreti.

Atlantique della senegalese Diop, prima regista africana in concorso a Cannes, mette in scena una storia di migrazione. A Dakar alcuni muratori non pagati da mesi decidono di lasciare il Paese.

Sorry we missed you dell’anticapitalista britannico Ken Loach (due volte Palma d’oro, con Il vento che accarezza l’erba, nel 2006 e Io, Daniel Blake, nel 2016) racconta la storia di Ricky e della sua famiglia, in lotta da sempre con i debiti dopo il crack del 2008. L’opportunità per riconquistare l’indipendenza si presenta a Ricky con un furgone in leasing e un lavoro da trasportatore.

Little Joe della viennese Jessica Hausner è un fantasy distopico. Una nuova pianta sembra produrre cambiamenti nelle persone e negli animali con cui viene in contatto.

Dolor y gloria di Pedro Almodóvar (nel 1999 premiato per la miglior regia, con Tutto su mia madre e nel 2006 per la migliore sceneggiatura, con Volver) è un misto tra i felliniani Amarcord e 8½ in salsa spagnola. Un regista non più giovane e senza futuro fa un viaggio nel passato dove riaffiorano vecchi sentimenti, grandi amori e profonde delusioni.

The wild goose lake di Yinan Diao racconta la storia di Alice e Joachim, che sognano il cinema.

The Whistlers di Corneliu Porumboiu vede un poliziotto impegnato a liberare un uomo d’affari da un’isola delle Canarie. Per farlo deve imparare il dialetto locale, lingua che include sibili e sputi.

Portrait of a lady on fire di Céline Sciamma è ambientato nella Francia del XVIII secolo. La protagonista è una giovane pittrice alla quale viene commissionato un ritratto da sposa di Helose, da realizzare a sua insaputa. La frequentazione tra le due donne creerà tra loro una crescente attrazione.

A hidden life del regista americano Terrence Malick (Palma doro nel 2011, con The Tree of Life) racconta un dramma della Seconda guerra mondiale, quello di Franz Jägerstätter, obiettore di coscienza, ghigliottinato dal Terzo Reich, nel 1943.

Young Ahmed di Jean-Pierre e Luc Dardenne (due volte Palma doro, con Rosetta, nel 1999) e L’Enfant, una storia d’amore, nel 2005) s’immerge direttamente nell’attualità. È la storia di un adolescente belga che progetta di uccidere la sua insegnante, dopo aver aderito ad un’interpretazione estremista di alcuni passi del Corano.

Frankie di Ira Sachs racconta la vita di una famiglia, vista attraverso tre generazioni, stravolta da una gita in Portogallo. A Sintra, città storica, conosciuta per i suoi incantevoli giardini, ville e palazzi.

C’era una volta a Hollywood segna il ritorno a Cannes di Quentin Tarantino. L’autore (Palma d’oro nel 1994 con Pulp Fiction), nella sua nuova rilettura del cinema americano, dirige Leonardo DiCaprio, Margot Robbie e Brad Pitt. Come sostiene lo stesso regista, si tratta di “una lettera d’amore per l’Hollywood della sua infanzia. Un tour di musica rock del 1969 e un’ode al cinema nel suo insieme”.

Parasite di Bong Joon-ho racconta come il primogenito di una famiglia povera riesca a trovare, con un inganno, lavoro presso una ricca coppia. Con drammatiche conseguenze.

Matthias & Maxime di Xavier Dolan è la storia di un gruppo di giovani amici di Montréal. Tra questi Matthias e Maxime, migliori amici da una vita, si accorgeranno di essere innamorati proprio durante la reunion.

Oh mercy! di Arnaud Desplechin ci porta a Roubaix dove il capo della polizia locale e una neolaureata affrontano l’omicidio di una vecchia. I vicini della vittima, Claude e Marie, vengono arrestati.

Mektoub, my love: Intermezzo di Abdellatif Kechiche è il seguito della “suite” cinematografica iniziata con Mektoub, My Love: Canto Uno. Ovvero le vicende umane di un gruppo di francesi di origine tunisina.

It must be Heaven di Elia Suleiman narra la storia di un uomo che fugge dalla Palestina alla ricerca di una nuova casa. Viaggia in diverse città, ma vede ovunque la propria terra natale. Un racconto burlesco che esplora identità, nazionalità e appartenenza.

Sibyl di Justine Triet è il nome di una psicoterapeuta in crisi che torna alla sua prima passione: la scrittura. La sua ultima paziente, Margot, attrice emergente e problematica, si rivela per lei una fonte d’ispirazione. Fino all’ossessione.

Aggiornato il 18 maggio 2019 alle ore 00:04