La vita? Va esattamente al contrario di “Niente di personale”, bel libro introverso ma mai perverso di Roberto Cotroneo, pubblicato per “La Nave di Teseo 2018”, poiché le nostre esistenze sono esclusivamente vissute, sofferte, descrivibili soltanto in prima persona singolare. Il saggio autobiografico è un’elaborazione complessa di un lutto culturale personale, di chi è arrivato giovane di belle speranze alla redazione de l’Espresso verso la metà degli anni Ottanta del secolo scorso. Ed è drammatizzato il conflitto tra i salotti buoni di un tempo e questa nave attuale senza timone e vele, che imbarca di tutto pur di stare a galla. Non si soffre più aprendo molti libri sconosciuti seduti sulle scomode sedie di una grande biblioteca, ma si fa meretricio indiscriminato delle proprie pseudo capacità di scrittore e giornalista, improvvisando su tutto e contribuendo così a un arretramento preoccupante della capacità di proposta e pensiero critico che, fino a pochi decenni fa, prima dell’avvento della Rete, era prassi consolidata della classe intellettuale. Si arrivava, cioè, a “contare” con il peso rilevante e a volte determinante della propria opinione dopo una lunga gavetta, passata spesso all’ombra di grandi maestri della comunicazione, della letteratura e del giornalismo.

Oggi, si assiste al deserto dell’etica, del rapporto deontologico con la notizia, i fatti e la loro interpretazione. Le grandi testate giornalistiche e periodiche di allora erano centri reali di potere, templi del giornalismo che funzionavano per cooptazione e talento. L’assistenzialismo pubblico era lontano e si viveva delle copie effettivamente vendute in edicola. All’interno di quelle redazioni esisteva un serio confronto professionale e c’era grande rispetto reciproco. I segreti erano tali e le notizie non venivano elaborate e copiate dalle note di agenzia. Le informazioni fornite dalle fonti riservate erano tutelate a rischio della propria carriera. La convivialità, la pausa caffè al bar con l’aggiunta di qualche superalcoolico nei giorni più freddi era, in fondo, una confortevole pratica di coesione sociale. “Le stanze del potere erano fredde perché si risparmiava sul gasolio”! Oggi, ci dice Cotroneo, viviamo in un mondo della mistificazione dove le note negative del carattere, come l’avidità, le miserie sessuali e la cattiveria vengono rivoltate come un cappotto vecchio per farlo apparire nuovissimo in pubblicazioni che vorrebbero tramutare in oro il piombo di ben misere esistenze.

Ma, ciò che veramente dà una luce straordinaria al testo sono gli incontri con personaggi famosi, di cui sono raccontati delicatissimi “backstage” rubati all’interno delle loro case borghesi, antiche. Ed ecco apparire e prendere corpo l’immagine di un grande autore ricoverato per molti decenni in manicomio, che ha scritto saggi letterari mirabili rubatigli poi da suo fratello, in cambio di pigiami per la notte. Oppure, l’incontro sull’autobus n. 75 con un critico famoso e introverso come Vittorio Astanti, militante della sinistra comunista ortodossa e severo fustigatore di consumi, finito quasi folle dopo essersi innamorato perdutamente di una donna slava. Intensi amori privati come quello di Antonio e Natalia arenatosi con l’impazzimento di entrambi, reputati finissimi intellettuali di grande successo mondano che fingevano di sapere tutto conoscendo nulla. O il ricchissimo industriale, con moglie e amanti, amico di Agnelli oppresso dai ritmi di una vita infernale tra vip, viaggi in aereo e ricevimenti alla Presidenza della Repubblica, che spia da uno spioncino di lusso la vita di una donna sola, normalissima, Nora. Per finire al guru italiano dei social, che abbandona le sue enormi ricchezze per un rifugio a Ugento con la sua figlioletta di colore, sottraendosi alla fama che distrugge l’anima, perché si è stati complici e creatori di un mondo digitale destinato a desertificare le nostre doti di umanità e intelligenza.

Aggiornato il 21 dicembre 2018 alle ore 12:15