“La Classe” di Marini alla Sala Umberto

Chi ha letto “Dawla” (o “Stato islamico”)? Una cronaca terrificante dal catino del vulcano, quando le persone e i corpi degli infedeli valgono zero e, quindi, finiscono orribilmente trucidati nelle fosse comuni dopo inenarrabili torture. I persecutori? Jihadisti e Stati totalitari mediorientali con i loro apparati militari e di intelligence. Nel mondo capovolto dell’Isis, in particolare, giovani donne, bambini e adolescenti hanno un mercato e vengono venduti come schiavi, per essere violentati e passati di mano innumerevoli volte dai loro proprietari. Dove arriva la Peste Nera dei miliziani di Al Bagdadi, che trae forza dal ventre ribollente mediorientale delle guerre civili locali, si producono per conseguente contraccolpo masse sterminate di rifugiati che cercano asilo in Europa e negli Stati arabi confinanti. A loro volta questi flussi incontenibili di dolore e rabbia si uniscono ad altre folle sterminate di profughi economici africani concentrandosi nei così detti “Zoo” umani, presenti in molte delle periferie diseredate italiane e europee, provocando degrado, insicurezza e proliferazione della piccola criminalità dedita per lo più a spaccio di stupefacenti e prossenetismo.

Ecco, ne “La Classe” di Vincenzo Manna, attualmente in scena alla Sala Umberto di Roma fino al 25 novembre, per la regia di Giuseppe Marini, l’estremo degrado delle periferie urbane diseredate e dello “Zoo” adiacente (ma incorporato nella vita quotidiana) arriva in una classe di recupero di un Istituto Tecnico del quartiere, parlandoci del disagio giovanile e del compito tanto immane quanto ingrato di un insegnante, Albert (Andrea Paolotti), e di un preside (Claudio Casadio) per tenere in piedi una situazione esplosiva, dal punto di vista disciplinare e del profitto. Come i Sette Peccati capitali, tutta la mercanzia dolente di una società antropologicamente disastrata siede (per modo di dire) sui banchi di scuola: il neonazi Nicolas (Brenna Placido), che odia gli ospiti dello “Zoo” e i rifugiati denunciando lo stato di abbandono e di povertà assoluta in cui si trovano molti italiani d’oggi; la bellissima Arianna (Valentina Carli) con la sua terribile storia di violenza familiare; Talib (Haroun Fall) il venditore nero di fumo, naturalizzato italiano, un simpatico mago della street dance e dell’esistenzialismo marginale, ultrasensibile e raffinato nei confronti delle istituzioni e del disagio dei suoi compagni di viaggio; Maisa (Cecilia D’Amico), fobico-ossessiva, introversa e bruttina a caccia di sesso nei bagni della scuola; Vasile “Lo Zingaro” (Edoardo Frullini) il finto-aggressivo; e infine Petra l’ebrea (Giulia Paoletti), la figlia del commerciante di stoffe che odia tutto il mondo in rancoroso silenzio.

Ebbene, questa temibile fauna di giovani avvelenati mette in scena con grande bravura una forma inedita ed eccezionale di riscatto: stimolata da Albert la classe, con l’eccezione di Nicolas e della sua ragazza, Arianna, scopre un dossier riservato che uno dei rifugiati di guerra ha sottratto alle carceri di uno spietato dittatore mediorientale, corredato dalle fotografie di giovani e giovanissimi morti sotto tortura e sfigurati atrocemente dalla furia brutale dei loro carcerieri. Loro, soltanto in quattro, dovranno rimettere assieme il puzzle frammentato dei documenti ritrovati, ricostruendo la storia di quelle povere giovani vite spezzate, per poi sottoporre il risultato a una commissione di valutazione europea, che ha posto in palio un primo premio di ottantamila euro in borse di studio. La loro vittoria finale sarà quella del riscatto per chi ha creduto negli ideali superiori dell’umanità. Davvero interessanti sono gli intermezzi e i soliloqui del preside, a proposito delle mille virtù inaspettate della comunità delle galline, che si liberano a piccoli colpi di becco dei soggetti malati, dimostrando insospettate qualità di resilienza e di sopravvivenza: tali e quali a quelle della “Classe”.

Aggiornato il 16 novembre 2018 alle ore 11:47