Gitai si attacca al tram di Gerusalemme

C’è sempre chi, tra gli intellettuali “de sinistra”, non smentisce le proprie tendenze masochiste nel mondo occidentale. Amos Gitai, il bravissimo regista israeliano, è uno di costoro. Nell’ultimo film “A tramway in Jerusalem”, presentato in questi giorni al Medifilm festival in corso a Roma dal 9 al 18 novembre, immagina di raccontare tutte le contraddizioni della società dello stato ebraico attraverso i personaggi che si parlano (o che non comunicano) sul tram 11 che attraversa praticamente tutta la città  che è la capitale di Israele. Tutti gli anni questa meritoria rassegna giunta ormai alla 24esima edizione, ideata tra gli altri da Ginella Vocca, riesce a darci uno squarcio intellettualmente autentico di quel che è il Medio Oriente. E ogni anno ci sorprende. Grazie anche alla puntuale e tempestiva diffusione delle iniziative propiziata dall’ufficio stampa storico della manifestazione che fa capo a Raffaella Spizzichino, Maya Reggi e Carlo Dutto.

Chi invece non ci sorprende più è proprio questo regista che ha idee politiche a metà tra le profezie di autodistruzione (alla fine del film invoca pure l’Armageddon) dello stato ebraico e il senso di colpa permanente nei confronti dei palestinesi, senza accorgersi che tutto il mondo li ha ormai dimenticati. Visto che hanno da sempre scelto il terrorismo alla non violenza, al contrario di Gandhi e dello stesso Mandela. Così anche le scene più belle del film (molto ma molto lento) risultano “inquinate” da un’ideologia ormai vintage: che poi è quella della peggiore sinistra israeliana. Nel tram 11 si vede di tutto: coppie che parlano di divorzio e di figli che non nascono, guardie della sicurezza un po’ troppo rudi con i passeggeri di chiara etnia araba, preti cattolici che prima tentano di molestare le ragazze e che poi si mettono a predicare come Gesù. E, perla delle perle, il rapper arabo che predica la rivolta palestinese e che canta danzando tra l’indifferenza degli astanti, un po’ come i nostri zingari in metropolitana. Un affresco artisticamente bellissimo ma politicamente assai confuso. Tra le righe si legge che Gitai ha molto mal digerito l’emendamento in Costituzione che ha dato ad Israele il connotato di stato ebraico su input dell’attuale premier Benjamin Nethanyahu. Ma questa maniera di giudicare la politica attraverso gli ideologismi di sinistra non ha mai portato fortuna ai partiti che incarnano questi dogmi. Né in Europa e tanto meno in Israele.

Aggiornato il 12 novembre 2018 alle ore 12:19