Un libro da leggere e da regalare sotto l’albero di Natale; la saggista Barbara Benedettelli vuole sottolineare che non esiste solo la violenza di genere contro le donne anche se è la più diffusa ma la violenza può essere in ognuno di noi uomini e donne e va affrontata, curata con soluzioni adeguate.
Barbara, perché il libro è dedicato a tuo figlio Alessandro?
Alessandro ha 11 anni e spero che quando sarà adulto possa vivere in un’epoca in cui uomini e donne non saranno legioni nemiche, ma persone consapevoli di essere “complementari e necessari” all’esistenza stessa della razza umana. Oggi i due sessi sono perennemente in lotta ed è sbagliato.
Perché nasce questo libro?
Per dare dignità, ascolto e tutela a tutte le vittime di quelle relazioni malate che formano una grande costellazione d’orrore. Non possono esserci vittime di serie a e vittime di serie b. Quello che è scandaloso è che questa violenza si realizzi proprio dove dovrebbe esserci affetto, solidarietà, comprensione. È questo che deve indignare, sia che le vittime siano femmine sia che siano maschi. Le donne sono più spesso vittime, questo non è in discussione, è la realtà. Lo sono anche perché più fragili fisicamente, spesso dipendenti psicologicamente ed economicamente e su questo bisogna lavorare.
Quale messaggio vuoi trasmettere con “50 sfumature di violenza”?
Mi occupo di ogni tipo di violenza da almeno 10 anni, attraverso i libri nei quali do voce alle vittime e attraverso l’impegno sul campo, non mi sono svegliata una mattina dicendo adesso parlo di questo tabù. No. Il mio è stato un percorso, una maturazione che auspico sia anche di altri. Per quanto riguarda la violenza domestica anche io per lungo tempo facevo l’equazione “violenza domestica = violenza alle donne”, un’equazione sbagliata, di certo incompleta. La violenza alle donne all’interno delle relazioni intime è un ramo, ce ne sono altri. Anche io pensavo che la violenza femminile all’interno dei rapporti intimi fosse limitata a qualche caso, la letteratura italiana sul fenomeno è monotematica, i media non parlano della violenza femminile, le battaglie si fanno a senso unico. È ovvio che diventa difficile riuscire a vedere oltre e invece bisogna farlo, perché altrimenti non è possibile salvare nessuno. Non si possono individuare le azioni preventive adeguate se non si guarda un fenomeno nel suo insieme, con le sue sfumature e i suoi intrecci e tenendo conto che ognuno di noi, maschio o femmina, contiene dentro di sé la possibilità del male. Che una relazione non può essere letta secondo una visione ideologica, dunque astratta, ma nella sua verità che non vede i protagonisti in ruoli statici. Nel momento in cui sono riuscita a vedere oltre il pregiudizio e la narrazione dominante, ho ritenuto di mostrare quello che ho trovato anche agli altri, per poter riuscire, insieme, a sconfiggere questo male che vede le donne anche come maltrattanti e carnefici, dei compagni e anche dei figli. Quanti sanno per esempio che ci sono anche madri pedofile? Perché non c’è una condanna sociale, mediatica e politica decisa anche su questo?
Perché?
Credo che lo stereotipo donna/vittima uomo/carnefice rinforzato dalla propaganda del femminismo radicale - e che tra l’altro perpetra proprio la cultura patriarcale dalla quale secondo questa visione dipenda tutto il male del mondo - impedisca di vedere la donna nella veste di maltrattante, di persona violenta a prescindere dall’essere vittima. Si dice che una donna viene colpita in quanto donna, e nel mondo accade, ma in Italia proprio dai dati Istat sulla violenza contro le donne emerge che nella maggior parte dei casi gli uomini violenti con loro lo sono anche al di fuori del rapporto, con chiunque. Dunque? Le cause sono molte, e vanno valutate tutte. Inoltre si dovrebbero fare indagini trasversali, perché ci stiamo occupando di un problema che riguarda una relazione, dunque più persone. Come possiamo pensare di sconfiggere un male se non lo vediamo nella sua verità e interezza?
Perché sei partita dalla tua vicenda familiare?
La storia della mia famiglia è il fil rouge attraverso il quale racconto i cambiamenti politici e storici degli ultimi settant’anni, per dimostrare con quale velocità il mondo è cambiato, e anche i rapporti tra i sessi, in uno spazio storico estremamente ridotto. Oggi ci si ostina a dare la colpa di tutto il male alla cultura patriarcale, dunque al maschio, credo sia un errore che impedisce di vedere la cultura attuale, che è semmai quella liquida di Bauman dove tutti, uomini e donne, siamo vittime e carnefici di noi stessi. O quella delle morali infinite che tendono a espandere i diritti anche quando calpestano quelli altrui. Penso per esempio ai padri separati, ogni anno sono circa 200 quelli che si suicidano perché, per esempio, perdono la casa e soprattutto i figli. E poi penso ai figli, che sono le prime vittime. Perché non fare una campagna sociale che inviti a non usarli come armi contro il coniuge che ci lascia o che lasciamo spingendo a tutelare in primis il diritto dei bambini a crescere con due genitori? Perché non si fa una battaglia politica affinché quel genitore (più spesso le madri) che accusa l’altro di abusi mai commessi durante le cause giudiziali, paghi per quello che ha fatto?
Nel libro parli anche della violenza sugli anziani.
Sì, altre vittime di quella costellazione di orrore. La Convenzione di Istanbul ben distingue tra violenza di genere e violenza domestica, dicendo nero su bianco che anche gli uomini possono essere vittime di violenza domestica, così come i bambini e gli anziani, appunto. Per quanto riguarda la violenza agli anziani, ne sentiamo parlare quando avvengono nelle case di cura, ma raramente quando avvengono tra le mura domestiche e invece è proprio qui che sono maggiormente colpiti. Gli anziani (maschi e femmine) oltre i 70 anni vengono sottoposti a vessazioni fisiche, psicologiche, incuria, negligenze, sfruttamento economico. Perché non si fanno campagne sociali anche su questo? Perché non si tiene conto, d’altra parte, della forma depressiva e pericolosa che colpisce chi degli anziani si prende cura? Sai cosa c’è? L’idea che la vita valga così poco è come un buco nero che può inghiottire l’umanità. L’uccisione o il maltrattamento di un genitore, di un nonno, di una sorella, di un figlio è devastante per tutta la società, perché l’amore parentale dovrebbe essere la più alta forma d’amore. Ed è questo buco nero il vero allarme, il nucleo, il centro su cui ci dovremmo concentrare.
Il tuo libro che riscontri ha avuto?
Chi ha letto il libro senza fermarsi allo “scandalo” della parola maschicidio, che ho provocatoriamente inserito nel sottotitolo (e della quale ho tentato anche una definizione nel testo) per dare forza politica anche a un altro volto di questo inferno, lo ha trovato equilibrato, sconvolgente sotto certi aspetti e illuminante. Il libro impone anche di rivedere le proprie posizioni sull’altro sesso. È utile alle donne per conoscere meglio gli uomini e uscire da quello schema limitante della vittima perenne, e agli uomini per sentirsi meno soli di fronte a una violenza che, moderata o feroce, colpisce anche loro.
Aggiornato il 20 dicembre 2017 alle ore 19:50