Le donne, custodi della cultura altra

Tra i vincitori dei bando “MigrArti Spettacolo 2017” del Mibact c’è “MigrAntenate - le Custodi dell’Altro”, progetto multidisciplinare che, dopo un laboratorio, debutta il 30 giugno ai Magazzini San Pietro di Formigine, in provincia di Modena. In scena, giovani immigrati residenti stabilmente in Italia, in particolare in Emilia Romagna. La rappresentazione replicherà poi a luglio in altri comuni del territorio, compresi Forlì e Modena, e ce ne parla Roberta Biagiarelli, l’autrice/attrice che l’ha curata.

Ci presenta il progetto?

Con la mia compagnia Babelia, in partenariato con Rete TogethER e Forlì città Aperta, abbiamo lavorato a un laboratorio teatrale presso i Magazzini di San Pietro con giovani, in maggioranza ragazze, sulla loro biografia, sul loro essere nati in Egitto, Marocco, Camerun, Etiopia e la loro cittadinanza italiana. Sono arrivati nel nostro Paese molto piccoli, quindi si parla del loro avere un dna originario dentro una cultura altra, vissuta all’interno delle loro famiglie, e allo stesso tempo in quella italiana. Insomma, tutto ciò che l’immigrazione, la multiculturalità porta nel nostro tempo.

Com’è venuta l’idea iniziale?

Giocando proprio sul titolo del bando. Tutti noi ci muoviamo, anche se poi rimaniamo a vivere sempre nello stesso posto, perché la prima migrazione la facciamo venendo al mondo, approdando dall’acqua alla terra. Siamo derivazione di un processo di migrazione, che a volte è più culturale che spaziale, e con i protagonisti del lavoro teatrale ho quindi elaborato il desiderio di occuparci della presa in custodia della cultura dell’altro. Per poterlo fare, bisogna conoscerla, e quindi viaggiare, la prima necessità è esserne permeati. Il nostro racconto è al positivo, vorremmo che la cattiva notizia venisse abolita, che ci fosse un lavoro sul ponte, sul punto d’incontro, sullo scambio, per valorizzare la potenzialità, l’arricchimento che può scaturire dall’incrocio con l’altro.

Come si è strutturato il laboratorio?

Nello spazio culturale che condivido con il fotografo Luigi Ottani a Formigine. Molti dei ragazzi lavorano in cooperative, in uffici del comune che si occupano proprio di multiculturalità, quindi le prove erano il sabato e la domenica, e nella settimana del debutto tutte le sere. Ci sono state contaminazioni, io ad esempio ho imparato tanto da Ihsane, una rapper marocchina, musulmana praticante che studia giurisprudenza all’università di Modena e mi diceva: “Tu non sai quant’è bella la vostra Costituzione, quanto è multiculturale, quanto c’è già tutto dentro”. Sentirselo dire da una ragazza nata a Casablanca è un’esperienza.

La prospettiva al femminile di antenate e custodi?

È l’idea che la donna cuce, crea legame, un’immagine scaturita da questi mesi di lavoro, in modo intuitivo, mi è venuta pensando a Lucy, la donna rimasta sepolta per oltre tre milioni di anni in Etiopia. Lei è morta lungo il greto di un fiume, probabilmente sfinita da un lungo viaggio a piedi. Quindi, il camminare è qualcosa che sta dentro di noi da sempre, il pensiero sta nel cammino, va dalla terra, dai piedi alla testa, e non viceversa. Penso soprattutto alle donne africane, iconograficamente dentro enormi territori che loro attraversano a piedi con secchi d’acqua e bambini, e forse dobbiamo di nuovo precipitarci dentro quella dimensione, prendere il passo di chi sta camminando verso di noi. Perché se tiriamo su muri non andremmo da nessuna parte, perché chi cammina è più forte di chi sta fermo, chi ha radici è destinato a perdersi, ad essere fallimentare nel nostro tempo. E nonostante questo periodo di chiusura, difficile, violento, che stiamo vivendo, dove l’asticella del razzismo sale in modo preoccupante, dobbiamo pensare che c’è una temperatura percepita e una reale. Se vai dentro le storie di ciascuno, se incontri l’altro, se capisci, lui prende la tua storia e tu prendi la sua, e tutti torniamo più con i piedi per terra. Di questo dobbiamo reimparare a prenderci cura, ma primariamente per noi piuttosto che per gli altri, perché solo cadendo dentro noi stessi - e quindi trovando delle piccole chiavi di lettura, interpretazione, conoscenza - possiamo allargare il nostro orizzonte, che deve necessariamente comprendere tutti, o comunque molti.

Una posizione che viene della sua esperienza sui conflitti?

Io mi sono dedicata alla guerra di Bosnia per tanto tempo, ci sono tuttora legata, e i Balcani sono un grande esempio di un conflitto che abbiamo avuto sull’uscio, vissuto dai nostri vicini di casa, e dal quale abbiamo imparato molto poco. Quindi dobbiamo avere dei punti di riferimento, conoscere, perché purtroppo c’è un pregiudizio che dilaga e non fa bene a nessuno.

Quale sarà il percorso dello spettacolo?

Dopo il debutto, farà tappe nel territorio, perché sono riuscita a scuotere la sensibilità dei comuni, e quindi avrà poi una disseminazione. Abbiamo il desiderio di condividerlo col pubblico, perché c’è bisogno di tornare a parlare di realtà: la viviamo spesso distorta, quindi va ricalibrata, e forse il teatro può essere uno strumento.

Aggiornato il 28 giugno 2017 alle ore 23:05