Ragionare “con”, o “sui” terroristi islamici? Il bel saggio di Olivier Roy, “Generazione Isis” (Edizioni Feltrinelli 2017), esamina esclusivamente la seconda ipotesi. Si tratta di un libro, per così dire, “anti accademico”, in cui le scuole di pensiero sono per definizione bandite. Roy, cioè, come accade nella termodinamica quantistica, costruisce i suoi operatori astratti per misurazioni concrete dei sistemi caotici relativi, analizzando in senso più gruppale i comportamenti devianti delle migliaia di casi noti e documentati di foreign fighters, pronti a morire prima per Al Qaeda e poi per l’Isis. Scritto nel 2016, il libro non tiene conto di quanto sta accadendo oggi in Iraq e Siria, dove il Califfato -come pura entità territoriale- sta per essere definitivamente eradicato dalla regione con la presa delle sue roccaforti storiche di Raqqa e di Mosul da parte dei lealisti e della guerriglia anti-Isis. Allora, per quanto ci riguarda, conviene leggere il suo testo al contrario, partendo dalla fine, proprio come avviene per le scritture in arabo, ovvero dalla sua domanda conclusiva del “perché l’Isis continua a reggere?”. Anche se, attualizzando il tutto, “reggere” significa continuare a diffondere il suo credo nichilista rivoluzionario in tutte le aree del mondo dove vi sia anche un solo fedele musulmano, grazie, sostanzialmente, alla diffusione planetaria di Internet.
Per come la vede Roy, le linee di forza geopolitiche che ne mantengono il nucleo ideologico e combattente in una sorta di sospensione gravitazionale deriva, in fondo, dalla natura conflittuale dei campi politici che le esprimono. Questo perché, in sintesi, “nessuna potenza, regionale o globale, vede nel Califfato il proprio nemico principale [...] per gli sciiti iracheni espellere l’Isis dal Paese significherebbe dividere il potere con i sunniti”. Per la Turchia, ossessionata dall’eventuale statalizzazione del Pkk alle sue frontiere, “sconfiggere l’Isis significherebbe rafforzare i curdi e il regime siriano”. Ma anche per l’Arabia Saudita, competitor regionale e religioso di Teheran, la sconfitta del Califfato significherebbe regalare il controllo della regione agli sciiti e, quindi, all’Iran stesso, con il conseguente “consolidamento di un asse sciita che da Bagdad arriverebbe a Beirut, passando per Damasco”. Ma anche l’Iran ha bisogno dell’Isis per mantenere in vita il suo protettorato su Iraq e Siria, appoggiando militarmente la lotta contro i jihadisti. Per gli israeliani, poi, “l’Isis è un dono della Provvidenza: il regime di Damasco non è più una minaccia, e Hezbollah si usura combattendo in Siria contro altri arabi”. Venendo alle due superpotenze, l’Isis ha rilanciato il ruolo geopolitico della Russia, mentre gli Stati Uniti, usciti politicamente distrutti e delegittimati dalla loro folle politica di occupazione dell’Iraq, sono costretti a evitare di prendere il toro per le corna, sminuendo “l’importanza del fenomeno: l’Isis non sarebbe un vero problema”.
Torniamo ora alla “constituency” (intesa come un gruppo di individui che supportano, in modo più o meno verosimile, una persona particolare, un prodotto, un ideale, etc.) stessa del libro: come, perché e quando si sceglie di andare a combattere per l’Isis? Da dove origina l’attrazione irresistibile di questa Luna Nera del fondamentalismo islamico? Quali sono le sue caratteristiche di penetrazione, prima nelle coscienze e poi nelle intelligenze, di chi la sceglie? Diciamo subito che il nucleo fondante di tutte le risposte è unico: “Il Nichilismo” assoluto dell’era moderna, che attrae nella sua orbita suicida tutti coloro, soprattutto giovani, che individuano nella Morte (imponendola a molti e a sé stessi) l’unico atto redentivo possibile per le loro vite. Un eroismo fine a sé stesso, che vuole liberare chi, in fondo, è già libero, come la “Umma”, ovvero il popolo dei musulmani del mondo intero che ha il suo bel da fare a garantirsi la sopravvivenza materiale quotidiana. Obbedendo al Califfo, chi sceglie l’Isis è un fedele estremo, privo di cultura religiosa, che intende costruire un musulmano globale saltando e ignorando quindici secoli di islamismo, per tornare ai principi letterali del Corano e dell’insegnamento di Maometto.
La ricerca del “puro Islam”, però, impone la transizione attraverso la fase territoriale degli emirati, strutture temporali transeunti per la conquista del mondo, affinché tutti i popoli siano convertiti o sottomessi all’Islam. Uno dei modi perversi di questo ritorno all’antico califfato islamico è il ripristino della schiavitù, soprattutto sessuale, che i militanti impongono alle donne delle comunità “infedeli”, che subiscono ogni sorta di violenze abbiette anche di fronte a mariti e parenti, alle quali sono sottratti i figli piccoli per convertirli in feroci e docili “leoncini” dell’Isis. Quindi, tornando al nichilismo radicale, l’atteggiamento apodittico di chi dice di “amare la morte quanto noi amiamo la vita” si ispira all’opera di Said Qotb, secondo cui “la società musulmana sarebbe regredita alla ‘jahiliyah’ o all’ignoranza dell’età che precede la Rivelazione, con l’aggravante che non ci sarà un nuovo profeta, in quanto Maometto è il sigillo della profezia e quindi l’ultimo dei profeti. Ciò significa che la fine dei tempi è prossima [...] e la salvezza passa per la morte, che costituisce il cammino più breve e sicuro”.
Ovviamente, il libro di Roy è denso di ragionamenti di contenuto, pur rimanendo del tutto accessibile e godibile al lettore medio, per cui una sua sintesi risulta impossibile di fatto. Non resta, quindi, che consigliarne vivamente la lettura.
Aggiornato il 16 giugno 2017 alle ore 22:49